L’Iran si sente minacciato dagli Usa: i conservatori di Larijani alla riscossa
L’Iran si sente minacciato dagli Usa e dai suoi alleati nella regione, come l’Arabia Saudita, e in particolare dallo “scudo” di missili che gli Usa hanno installato in Europa, parte dei quali sarebbe proprio puntato sull’Iran. Probabilmente per questo Ali Larijani, politico conservatore di lungo corso e fedelissimo della Guida Suprema, è stato eletto stamane presidente del nuovo Parlamento, il decimo Majlis della Repubblica islamica. Ha battuto il suo rivale riformista, Mohammed Reza Aref, con 173 voti contro 103. Una sconfitta che brucia per la Lista della Speranza, una coalizione di moderati e sostenitori del presidente della Repubblica Hassan Rohani, che, nel voto del 26 febbraio, aveva conquistato la maggioranza relativa, il 42% dei 290 seggi, nella nuova assemblea legislativa, facendo intravedere la possibilità di intese strette tra Majlis e governo sulle riforme economiche, politiche e l’apertura all’Occidente. I fondamentalisti-conservatori, maggioritari nel precedente parlamento e solo al 29% dei seggi nell’attuale Majlis hanno di nuovo dimostrato invece di avere la capacità di aggregare consensi molto più ampi delle loro forze, pescando in quella zona opaca di deputati indipendenti o senza bandiera, circa il 30% dell’assemblea. A differenza che nei Paesi occidentali, in Iran non esistono partiti organizzati e la politica è molto fluida, tanto che alcuni parlamentari si sono presentati sia con i riformisti che con i conservatori. Già la scorsa settimana il presidente Rohani aveva subito scacco nell’Assemblea degli Esperti, l’organismo religioso eletto sempre nel voto popolare del 26 febbraio e di cui egli stesso è membro: ad ottenere la presidenza è stato il più falco di tutti gli ayatollah, ovvero il novantenne Jannati, conosciuto per il suo livore anti-occidentale, che ha ottenuto 51 voti su 86, mentre il candidato riformista ne ha presi 21 e un indipendente 13.
Larijani eletto presidente del parlamento iraniano
L’Assemblea, in carica per 8 anni, avrà il compito di nominare la nuova Guida Suprema, se Khamenei (77 anni) uscirà di scena. E’ improbabile che Jannati, alla sua veneranda età, si trovi a pilotare la successione, ma il segnale anti-riformista è stato forte. Larijani, seduto sulla poltrona di presidente del Majlis già da otto anni, è considerato un pragmatico e non è un nemico di Rohani. Ma nemmeno un amico e per il presidente della Repubblica, che sperava di avere nel Parlamento uno stretto alleato anche in vista di una rielezione nelle presidenziali del 2017, si apre una fase delicata. I fondamentalisti sono tornati all’attacco sulla scena politica, contestando l’accordo nucleare che ha ridimensionato i programmi atomici dell’Iran, senza portare – dicono – “nessun beneficio economico”. L’ultimo atto dello scorso Majlis è stato proprio quello di chiedere al governo di riprendere l’attività nucleare, se gli Stati Uniti continueranno nel “boicottaggio” della Repubblica islamica. Il nuovo Majlis, insediatosi ieri, non promette per il momento mutamenti radicali. Rohani e i suoi uomini dovranno conquistarsi, volta per volta, consensi e maggioranze, in una strada tutta in salita. E si è appreso anche, a conferma della tensione che c’è nella regione, che l’Iran non manderà i suoi cittadini al tradizionale pellegrinaggio alla Mecca, che si svolge in settembre. Lo ha annunciato il ministro della Cultura e della Guida islamica di Teheran, Ali Jannati, all’agenzia Fars. I negoziati per trovare una soluzione in extremis “sono falliti a causa degli ostacoli posti dei sauditi”, ha detto il ministro. Da gennaio l’Arabia saudita ha interrotto i suoi rapporti diplomatici con l’Iran.