L’analisi – C’è una Destra morale? (Ma attenti a Nietzsche)
La “questione morale” investe la sinistra o meglio il maggiore partito della sinistra, il Pd. E la destra? La riguarda, in qualche modo? C’è stata, c’è una “destra morale”? O, se si vuole, una “morale” o una “moralità di destra”? Senza cadere nell’errore “gauchiste” della “superiorità” , c’è un modo, una visione, uno specifico, un quid, un cammino che tiene un mondo intorno al principio dell’onestà personale? C’è una “destra morale” che può trovare rappresentanza o coincidenza nella destra politica?
Le prime generazioni del Msi nel dopoguerra – quella dei papà di Ignazio La Russa, ma anche dei grillini Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio o del giornalista Pierluigi Battista (Mio padre era fascista, Mondadori) – avevano ancora negli occhi uno spettacolo – quello di Piazzale Loreto – tragico e orrido, ma che rivendicavano con orgoglio: dalle tasche di quel capo del governo, responsabile dell’immane tragedia e messo a testa in giù, non uscì però una lira. Un’immagine-metafora che faceva di onestà e onore lo stesso concetto. Anche la figura di Cesare Mori, il “prefetto di ferro”, inviato da Mussolini in Sicilia, ottenendo grandi risultati nella lotta alla mafia, ebbe nel dopoguerra una forte valenza nell’immaginario del popolo missino.
La destra morale e il manifesto morale di Almirante
Poi venne il “manifesto” politico e morale (anche cartaceo) di Almirante: «Se un politico ruba va mandato in galera, se è uno di noi va condannato all’ergastolo». L’onestà era un valore, severo e per tutti: tanto più c’era nei missini una forte comprensione per i reati di opinione, tanto meno potevano esserci sconti per chi avesse sbagliato sul piano dell’integrità personale.
Alleanza nazionale, partito di governo, fu da freno a Berlusconi in tutte le questioni che riguardavano la legalità, la giustizia, l’ordine pubblico. Nelle maggioranze di centrodestra, nel partito unitario del Pdl, i finiani si scontrarono con i berlusconiani quando ci si trovò a discutere di limitazione dei poteri dei giudici, intercettazioni, lotta alla corruzione, contrasto della corruzione e delle mafie, amnistie e indulti. An avrebbe potuto fare di più? Certo, avrebbe potuto fare di più. Ad esempio in materia di leggi ad personam. Ma in una coalizione, guidata dal Cavaliere all’apogeo, era difficile. An poteva contenere, ma non esercitare sempre e ovunque il potere di veto.
Destra di governo, legale e pulita
In ogni caso, nella coalizione, pur stretta tra berlusconiani e centristi, An presidiò la “questione morale” e riuscì ad arginare derive legislative oltre la decenza istituzionale e il buonsenso. L’altalena delle convenienze (spinta dagli avvocati dell’allora premier) tra “processo breve” e “processo lungo”, la modifica della disciplina delle intercettazioni, la legge per fare prevalere i politici nel Csm: furono tutte bloccate dalla destra. E fu raro il caso di suoi uomini di governo o nelle amministrazioni locali incappati in gravi questioni di giustizia. Il personale politico di Alleanza Nazionale era dotato di una robusta fibra etica: presidenti di regioni e province, sindaci, assessori e consiglieri; un esercito di amministratori, che si mantenne, nella quasi totalità, fuori da scandali e casi giudiziari eclatanti: Storace, Pace, Viespoli, Zaccheo, Moffa, Musumeci, solo per fare alcuni nomi, impersonarono una destra di governo irreprensibile.
L’unico caso, recente ed eclatante, che coinvolge la destra è Roma Capitale, ma si è parecchio sgonfiata nelle accuse a Gianni Alemanno: caduta quella di mafia, l’interessato ha molte ragioni di dire che cadrà anche quella di corruzione collegata a contributi alla sua fondazione. L’autodifesa è affidata a un libro appuntito e “autocritico”, scritto dall’ex sindaco (“Verità Capitale”, Koinonìa), insieme al gesto apprezzato di autosospedersi da ruoli politici e di difendersi nel processo e non dal processo.
La bandiera Borsellino e i casi Saviano e Cantone
Nella gallery di An ci sono stati pure “giudici-deputati” (Mantovano, Bobbio, Neri), sui quali ha esercitato una certa attrazione la destra della legalità. Che, per la verità, ha esercitato un fascino discreto anche su magistrati in trincea (Davigo fu uno di questi) o dichiaratamente di sinistra, ma dialoganti con la destra law and order, come Giancarlo Caselli. Non è neppure un caso che Luciano Violante – lord protettore delle “toghe rosse” – diventato presidente della Camera, si sia esposto a durissime contestazioni provenienti dalla sua parte, per avere osato pronunciare, all’atto del suo insediamento, un discorso di pacificazione storica, ponendo l’interrogativo sui «motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò».
E poi c’è Borsellino, giudice-simbolo, assassinato dalla mafia il 19 luglio 1992, icona per tante generazioni politiche a destra e per tutto il Paese: puntuale è la testimonianza di Fabio Granata con il libro “Meglio un giorno – La destra antimafia e la bandiera di Paolo Borsellino (Eclettica).
C’è anche una destra legalitaria, più immaginaria che reale: a parte il sempre citato duo maestro-allievo brillante, Montanelli-Travaglio, gli attacchi dell’Unità a Roberto Saviano fanno tornare attuale ciò che dello scrittore osservò Michele Serra: «È un uomo libero e coraggioso. In un Paese munito di una destra decente (cioè legalitaria e repubblicana) sarebbe di destra» (Repubblica, 5 giugno 2012). E l’insospettabile Raffaele Cantone, il quale lavora con il governo come presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, rivela a Salvatore Merlo, sul Foglio: «Alleanza Nazionale? Movimento Sociale. La mia collocazione è a destra».
Destra nova e “riabilitazione” di Onore (ma se arriva Nietzsche ?)
E oggi, che dice la destra erede di An, a cominciare da quella parlamentare di FdI? La “questione morale” per ora è scansata da Giorgia Meloni, candidata sindaco a Roma, forse per non cadere nelle tagliole di “Mafia Capitale”. Motivazione comprensibile, non sufficiente. Bisogna fare di più.
Una destra “nova”, guidata da una leader giovane, non può lasciare la “questione morale” al monopolio del M5S che ne fa largo uso contro Renzi e il suo Pd: la legalità è nel dna della destra che è dotata di idee, pantheon, back-ground. Può essere un suo punto di forza. Perché rinunciare o sottovalutare? Fratelli d’Italia è un partito nuovo con una guida fresca e ha un lascito etico notevole ricevuto dagli “antenati”: una posizione di vantaggio rispetto alla Lega di Salvini, il quale ha dovuto faticare non poco per fare cadere abilmente nell’oblìo i diamanti di Belsito e la laurea farlocca del Trota.
In questo lungo viaggio, tra successi e cadute, la destra italiana è sempre stata accompagnata nel suo cammino da due valori tipici della sua storia, della sua “anima”, della sua antropologia: la lealtà e l’onore.
Lealtà – a ben vedere – ha lo stesso etimo di legalità: e la “legalitas” è propria di chi si sente di destra. E l’onore è stato un valore giudicato per molto tempo antiquato, patriarcale, reazionario: di destra.
Uno sforzo di “riabilitazione” lo ha profuso Francesca Rigotta in uno studio interessante (“L’onore degli onesti”, Feltrinelli ). Dopo avere notato che la “cultura dell’onore ha un retrogusto arcaico e fascistizzante che ce la fa considerare con in certo senso di diffidenza”, l’autrice prova a recuperarla a sinistra con un’analisi che la porta a concludere che “per i moderni, per i democratici, l’onore è qualcosa di cui ciascuno è responsabile. Il valore dell’onore è legato al fatto di essere assegnato a un certo tipo di persona che ha guadagnato quel valore e che lo vede riconosciuto dalla comunità. ‘Comportamento onesto e riconoscimento di tale comportamento’ – secondo la Rigotta – potrebbe essere la definizione sintetica dell’onore come virtù politica democratica. Potrebbe essere questo il modo per recuperare il concetto di onore dal monopolio della destra”. Pagine che, invece, producono un’eterogenesi dei fini e forniscono ulteriori fondamenti “nazional-popolari” affatto estranei alla cultura di destra.
La quale può rivendicare anche l”honestas” – la radice delle parole tradisce raramente – che viene da “honor”. Onestà è una declinazione di onore, hanno la stessa direzione.
Solo di recente ci si è poi ricordati che questo concetto ritenuto “cripto-fascio” in realtà fu accolto nella Costituzione della Repubblica: ” I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” (articolo 54).
Allora: poiché è facile prevedere che la “questione morale” sarà sempre più una questione politica, la destra italiana dovrà darsi una strategia e un profilo in questo campo. E giocare la partita ad armi pari con i Cinque Stelle.
Purché tenga conto che potrà sempre bussare alla porta l’Ospite Inatteso – che viene dalle sue stesse viscere – il quale ammonisce: “Nessuno ha dunque, fino a oggi, saggiato il valore di quella famosissima tra tutte le medicine che ha nome morale: per la qual cosa è innanzitutto necessario che, una buona volta, questo valore lo si metta in questione. Ebbene! Tale è appunto l’opera nostra” ( F. Nietzsche, “La gaia scienza”, Adelphi).