Bandiere blu ovunque. Ma allora perché il mare è sempre più nero?

11 Mag 2016 16:43 - di Luca Maurelli

Secondo i promotori del grande concorso nazionale “Bandiera blu”, la Liguria – in quanto a pulizia, organizzazione e decoro delle spiagge – varrebbe il doppio della Sardegna e ben tre volte la Sicilia, superate entrambe dalle Marche, non proprio le Maldive, con tutto il rispetto per le località adriatiche. Ecco perché qualcosa non torna. Tanto per fare un altro esempio, secondo i dati di Legambiente, che di bandiere blu non si occupa ma di mare nero qualcosa ne sa, proprio Liguria e Marche sarebbero tra le regioni meno virtuose d’Italia in termini di inquinamento delle acque, come dimostra uno studio pubblicato recentemente sul Sole24Ore

Ecco perché molto non torna nella tradizionale festa delle bandiere blu assegnate anche quest’anno alle località balneari d’eccellenza lungo la Penisola. Quest’anno si parla di 152 Comuni rivieraschi (cinque in più del 2015) per 293 spiagge complessive (280 l’anno scorso) e 66 approdi turistici, alle quali sono va il riconoscimento della Bandiera Blu 2016, assegnato dalla Foundation for Environmental Education (Fee), che premia la qualità delle acque di balneazione ma anche il turismo sostenibile, l’attenta gestione dei rifiuti e la valorizzazione delle aree naturalistiche. Evviva, tutti contenti per la bella iniziativa, giunta alla XXX edizione, che vede ancora sul podio la Liguria con 25 località premiate e due nuovi ingressi (Cerviale e Levanto), davanti a Toscana (19 e un nuovo ingresso, Massa) e Marche (17). La Campania conferma 14 bandiere con un nuovo ingresso (San Mauro Cilento) e un’uscita; stessa sorte per la Puglia, con 11 bandiere, un nuovo ingresso (Carovigno) e un’uscita. L’Abruzzo, con tre uscite e una new entry (Silvi) scende a quota 6 bandiere, L’Emilia Romagna ne perde due e scende a 7. Il Veneto e il Lazio confermano le stesse 8 bandiere dell’anno scorso; la Sardegna è presente con 11 località avendone acquistate tre (Badesi, Sassari e Teulada), e la Sicilia raggiunge le 6 bandiere con una nuova entrata (Marina di Ragusa). Ancora, la Calabria arriva a 5 bandiere con un nuovo ingresso (Praia a Mare), il Molise conferma le 3 bandiere dell’anno scorso e il Friuli Venezia Giulia le 2 del 2015. La Basilicata raddoppia e grazie all’ingresso di Policoro arriva a 2. I criteri guida per l’assegnazione delle Bandiere Blu vanno dalla “assoluta validità delle acque di balneazione” (devono avere una qualità eccellente) all’efficienza della depurazione, dalla raccolta differenziata alle aree pedonali, piste ciclabili e spazi verdi. Ma sarà tutto blu quel mare che luccica?

Le bandiere sono blu ma il mare è sempre più nero, perché?

Dallo studio condotto da Goletta Verde nel 2015 sui 266 punti presi in esame, e che si traducono in 7.355,3 km di coste italiane, 120 risultano «inquinati e fortemente inquinati», e «ben il 49% risulta non campionato dalle autorità competenti, cioè non sottoposto a nessun tipo di controllo sanitario». Addirittura, avvertono gli esperti di Legambiente, «il 38% dei punti scovati, nel portale delle acque del Ministero della Salute risulterebbero balneabili, talvolta in classe eccellente». Sulle infrazioni rilevate per km di costa la Campania è prima con 3,9, seguita da Puglia (3,7), Molise (3,1), Liguria (3) e Marche (2,9).

Ma allora perché dai dati della Fee sulle bandiere blu emerge un grande ottimismo e record sempre maggiori di spiagge in regola? Certo, i parametri sono diversi, gli studi anche, i risultati pure, ma c’è il rischio di festeggiare troppo e capire poco di cosa stia davvero accadendo ai nostri mari. La buona fede non è in discussione, così come – però – il conflitto d’interessi. La Fee, la fondazione europea per lo sviluppo sostenibile, è un’organizzazione ambientalista no profit serissima con sede in Danimarca che raccoglie dati dai Comuni, li rielabora, li verifica e poi assegna le bandiere blu alle località conformi ai criteri. Dei Comuni, appunto. Sulla base di una task force formata da ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero delle Politiche Agricole, coordinamento Assessorati al Turismo delle Regioni, Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, Comando Generale delle Capitanerie di Porto, Federazione Sezione Salvamento (FIN Salvamento), Federazione Italiana Imprese Balneari, Confesercenti FIBA), Sindacato Italiano Balneari FIPE, Confcommercio (SIB). In sintesi, tutti soggetti politici, sindacali o addetti ai lavori del settore.

I dubbi degli scienziati sulle bandiere blu

Niente di male, ma qualche perplessità sulle bandiere blu le sollevavano anche in sede scientifica alcuni studiosi di ambiente. “Appaiono ancora forti perplessità circa il legame tra la capacità di un luogo di essere certificato dal punto di vista ambientale e la sua effettiva vocazione alla sostenibilità di lungo periodo. Nelle zone costiere indagate, infatti, permangono in molti casi situazioni di insostenibilità legate alle emissioni di CO2, al degrado edilizio, all’intensità del traffico e del congestionamento estivo. Si tratta, a ben vedere, di elementi al di fuori del programma Bandiera Blu. Tuttavia il vessillo dovrebbe essere usato come grimaldello per orientare le politiche urbane e le condotte degli operatori verso i temi della sostenibilità…”, erano le conclusioni dello studio condotto da tre ricercatori dell’Università di Urbino e Perugia, Tonino Pencarelli, Simone Splendiani e Claudia Fraboni, dal titolo “Il ruolo delle certificazioni ambientali nelle politiche di comunicazione delle destinazioni turistiche.  Luci ed ombre sulle bandiere blu nelle Marche”, datato 2012. Dubbi sui quali è lecito interrogarsi, prima di tuffarsi nelle classifiche dell’ottimismo.

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