“Tasse record e troppa burocrazia: in Italia è difficile fare impresa”
In bilico tra la convinzione di essere o meglio – per citare il titolo del convegno – «i geni dello sviluppo» e la consapevolezza che «l’imprenditorialità si sta impoverendo» e che quindi qualcosa deve cambiare. Nel modo di fare impresa e nel modo in cui il Paese consente di fare impresa. Per una pura coincidenza, nel giorno in cui il governo aggiorna al ribasso le previsioni di crescita, gli imprenditori italiani si ritrovano riuniti alla fiera di Parma per il convegno biennale di Confindustria. Sono qui per fare il punto, per capire come si può migliorare. Non è una sfida facile, lo sanno. Perché purtroppo le condizioni esterne restano complicate, si legge su “Il Messaggero“.
Scoramento, tasse e burocrazia: vita difficile per gli imprenditori italiani
Tasse, eccesso di burocrazia, difficoltà di accesso al credito continuano ad essere ostacoli enormi, mostri contro cui combattere quotidianamente. Otto imprenditori su dieci – svela la ricerca del Centro studi dell’associazione di viale dell’Astronomia – sono scoraggiati e ritengono che fare impresa oggi è ancora più difficile rispetto al passato. In questi anni di crisi si è salvato davvero solo chi è riuscito ad affermarsi sui mercati intemazionali, ma non è facile combattere con le armi spuntate in un contesto sempre più competitivo. E così in fondo non sorprende nemmeno tanto scoprire che nell’immaginario degli italiani il mestiere di imprenditore non è poi così attrattivo: meglio il libero professionista, o anche il lavoratore dipendente.
La maggioranza della popolazione ha un giudizio positivo sulla figura dell’imprenditore
Deve cambiare lo stile imprenditoriale, meno uomo solo al comando e più valorizzazione della squadra e del team. Alla politica gli imprendioti chiedono una cosa innazitutto: fermare la manina anti-impresa che ci fa posizionare al 45esimo posto nella classifica della Banca Mondiale sul fare impresa. Recuperare produttività resta un must. E per farlo è centrale la riforma della contrattazione. A questo proposito non convince la tesi del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che lega i mancati aumenti salariali nel contratto nazionale alla bassa inflazione.