Renzi fa il gradasso. Ma la sua è una vittoria di Pirro. Per 3 motivi, eccoli

18 Apr 2016 1:40 - di Aldo Di Lello

Matteo Renzi, a urne chiuse, fa il gradasso. “Non paga essere demagogici”, dice in una conferenza stampa a tarda sera a Palazzo Chigi. E poi aggiunge, riferendosi ai nemici interni del Pd, che “domani ci sarà la solita triste esibizione dei politici vecchio stile che dichiarano di aver vinto anche quando hanno perso”. Il “risultato è netto e chiaro”, tromboneggia Renzi per zittire i suoi (sempre più numerosi) nemici. Ma ha veramente ragione di gioire? In realtà a gioire possono essere solo le compagnie petrolifere, che si vedono rinnovate le concessioni per lo sfruttamento del mare Adriatico di qui all’eternità. Ma quella di Renzi è, politicamente parlando, una vittoria di Pirro. E per più di un motivo. Proviamo a elencarli.

1) L’elettorato politicamente attivo è contro Renzi

Innanzi tutto c’è il fatto che il 32,03 %  dell’elettorato che è andato alle urne contro Renzi non è affatto poca cosa. Parliamo almeno di 15 milioni di elettori. E si tratta di gente che ha un peso specifico ben maggiore dei tanti che possono essere rimasti a casa per ignoranza o disinteresse. Questa massa di gente che s’è coalizzata contro Renzi avrà la sua incidenza nei prossimi mesi. Se, infatti, siamo lontani dal quorum, siamo anche lontani da quel 10,-15 per cento di affluenza che i renziani di ferro pronosticavano fino a qualche giorno fa. Il paradosso è che molta gente è andata a votare pur non condividendo i motivi del referendum, tant’è che i No, secondo le schede fino ad ora scrutunate, risultano essere un buon 25%. Pare  insomma avere infastidito molti elettori l”invito all’astensione arrivato da Renzi e dai suoi. Tutto ciò significa che il renzismo ha perso molta della sua capacità attrattiva su quella parte (minoritaria nei valori assoluti, ma pesante in percentuale) che avverte il dovere civico e politico di andare, sempre e comunque, a votare. E a mettere  il dito nella piaga di Renzi è proprio un parlamentare del Pd, Miguel Gotor.: “Il non raggiungimento del quorum è  una classica vittoria di Pirro. Il Pd ha usato in modo strumentale l’astensione pensando di poter giocare con uno dei principali mali delle nostre democrazie, ma questa scelta spregiudicata rischia di rivelarsi un boomerang”.

2) Il Pd ha acuito  le sue fratture

C’è poi il fatto che Renzi si ritrova ora un partito ancora più spaccato di prima. E non solo perché gli esponenti della minoranza Pd, a partire da Roberto Speranza, o da gente comunque di peso come Letta, Prodi e vari  governatori di fede renziana si sono recati alle urne, ma anche e soprattuto per  il disagio che s’è manifestato alla base stessa del partito. A far emergere questo disagio è stato proprio un renziano zelante, come Ernesto Carbone che, in un arrogante tweet,  ha salutato con un “ciaone” tutti coloro che avevano confidato nel raggiungimento del quorum. Immediatamente s’è scatenata una pioggia di critiche da parte di tanti militanti dem che si erano astenuti dalle urne del referendum.

3) Un avviso di sfratto in vista del referendum confermativo

Ma il più grave motivo di allarme per Renzi è per i possibili esiti del referendum confermativo di ottobre, quando non ci sarà l’obbligo del quorum. La consultazione sulle trivelle ha dimostrato che 15 milioni i italiani non vogliono Renzi e, presumibilmente, gli diranno no anche a ottobre, nel giorno dell’ordalia, dallo stesso Renzi voluta. Se sono andati a votare domenica 17 aprile, a maggior ragione si rechereanno alle urne nel giorno della consultazione sulle riforme istituzionali. Quanti italiani, tra il 68 per cento che è rimasto a casa oggi, riuscirà a motivare Renzi per il refrendum che lo riguarda direttamente? Se la pulsione all’astensione lo ha favorito oggi, potrà seppellirlo domani. E teniamo anche conto del fatto  che, tra quel 68 per cento, ci sarà anche tanta gente che non gradirà affatto le sue riforme. Renato Brunetta ha già fatto i conti: “Abbiamo uno zoccolo duro di 15-16 milioni di cittadini, tutti potenziali voti contro Renzi al referendum costituzionale, quello della vita per il segretario-premier. Si parte da qui, da questa partecipazione, da questa disobbedienza, per costruire la vittoria del No a ottobre”. Forse Renzi non mangerà il Panettone. Domenica 17 aprile è suonato un campanello d’allarme. Per lui e tutto il suo “Giglio magico”.

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