Corea del Nord, fuga di gruppo dal comunismo: in 13 disertano al Sud

8 Apr 2016 15:00 - di Giulia Melodia

Fuga di gruppo dal comunismo nordcoreano. I protagonisti della vicenda che sta tenendo banco sui media asiatici sono tredici sudditi – non proprio fedelissimi – di Kim Jong-un, parte del personale assegnato presso uno dei ristoranti all’estero di Pyongyang, che hanno disertato e trovato rifugio nella vicina – e ben più ospitale in confronto – Corea del Sud. Una notizia che, a parte l’aura istituzionale ammantata dall’annuncio ufficiale della vicenda, reso noto dal ministero dell’Unificazione di Seul – secondo cui «l’operazione si è conclusa positivamente giovedì» – segna un particolare record: l’esodo dei 13 dissidenti rappresenta il primo caso di “fuga di gruppo” da uno dei ristoranti nordcoreani all’estero, un business che costituisce una fonte primaria di raccolta di valuta straniera per le casse del regime.

Fuga di gruppo dalla Corea del Nord: in 13 disertano al Sud

E allora, i protagonisti di questa fuga di gruppo dalle ristrettezze e dalla pericolosità del regime nordcoreano sono un manager e 12 lavoratrici. La rete di ristoranti di Pyongyang, gestiti solo ed esclusivamente da personale nordcoreano, si ramifica in diversi Paesi asiatici tra cui BangladeshCambogiaCinaMyanmar e Vietnam. A fornire i contorrni della singolare vicenda partita da uno di questi ristoranti nordcoreani all’estero, è intervenuto nelle ultime ore il portavoce del ministero Jeong Joon-hee che – naturalmente – non ha fornito altri dettagli su provenienza e rotte seguite per raggiungere il Sud, a causa di motivi di sicurezza e frizioni diplomatiche col Paese coinvolto. Rotte magari, tra tentativi riusciti e falliti, battute a più riprese: non è certo la prima volta che si verifica un fenomeno del genere, ma in passato si è avuta la defezione di uno o due lavoratori, mai un esodo organizzato da parte di un gruppo numeroso. «Hanno affermato di aver preso la decisione dopo aver capito le reali condizioni di vita al Sud guardando i programmi tv, le soap opera, i film e Internet, realizzando la fallace natura della propaganda del regime del Nord», ha spiegato Jeong. Come a dire che, una volta respirato anche per un solo istante un minimo refolo di libertà e di possibilità democratica, non ci hanno pensato su due volte i 13 transfughi ad abbandonare la nave da troppo ormai in balia delle ondate di autoritarismo del dittatore nord coreano, sempre più incline ad agitare le acque internazionali con provocazioni nucleari e abusi di potere in casa propria.

La lunga lista di fughe, esodi e richieste d’asilo

Seul, ovviamente, ha deciso di accettare la domanda di asilo dal punto di vista umanitario: i 13 disertori avranno occasione di riposarsi per un po’ prima dell’avvio del consueto ciclo di interrogatori da parte delle autorità sudcoreane mirati a chiarire tutti i contorni della vicenda. Pratiche ben consolidate se è vero che – secondo quanto stilato e reso noto dalle statistiche governative – finora oltre 23.000 nordcoreani hanno trovato riparo al Sud, da quando la penisola è stata divisa in due nel 1948. Quest’ultima operazione, però, è arrivata in un momento di massima frizione tra le due Coree: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha varato nuove sanzioni contro Pyongyang in risposta al test nucleare deciso a gennaio e al lancio del razzo/satellite di febbraio, mentre Seul ha dato il via con gli Usa alle maxi manovre militari congiunte che si chiuderanno a fine aprile. La Corea del Nord, nel frattempo, ha minacciato più volte azioni militari contro obiettivi sensibili del Sud (simulando persino un attacco al palazzo presidenziale) e degli Usa, senza escludere ogni volta il ricorso all’utilizzo di missili e armi nucleari.

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