Cina, sì alle religioni. Ma solo se credono in Marx e nel comunismo

26 Apr 2016 9:51 - di Martino Della Costa

La prima fede in Cina, si sà, è quella comunista: un credo imposto, tra storia, celebrazioni e persecuzioni, anche ai religiosi delle più disparati scuole di appartenenza. Ma ora, al primo comandamento della dittatura di Pechino, in materia di convincimenti e culti ideologici e sacri si aggiunge un altro elemento: le religioni in Cina dovranno essere compatibili con il comunismo, ma godranno del supporto del governo soltanto le fedi «cinesizzate». E a riguardo, il presidente Xi Jinping apre un altro dossier e stila il “manifesto” sull’argomento, gettando le basi di un’azione mirata da parte del Partito comunista cinese.

Religioni in Cina? Devono declinarsi al credo comunista

Dunque, partendo dal presupposto che la presunta “libertà religiosa” deve obbligatoriamente declinarsi al credo socialista – primo comandamento politico del regime cinese – va detto comunque che le questioni religiose hanno «una speciale importanza» nel lavoro del Pcc e del governo centrale, come ha tenuto a ribadire lo stesso Xi in un apposito evento del fine settimana, promettendo la totale esecuzione delle politiche del Partito sulla libertà religiosa e aiuto alle diverse fedi per adattarsi alla società socialista. «I gruppi religiosi devono seguire la leadership del Partito» i cui membri, a loro volta, devono essere «saldamente marxisti atei», invitando alla «vigilanza risoluta contro le infiltrazioni esterne attraverso i significati religiosi», si legge nel resoconto dei media ufficiali. Xi ha invitato a proseguire con gli sforzi per «fondere dottrine religiose e cultura cinese» infondendo «le idee di unità, progresso, pace e tolleranza».

In aumento le pressioni sulle religioni (e il loro controllo)

In Cina si stima ci siano milioni di buddisti, cristiani e musulmani: secondo l’Amministrazione statale per gli Affari religiosi, i credenti sono oltre 100 milioni e ammontano a 139.000 i luoghi di culto approvati, in continua crescita. «Sono passati 15 anni dall’ultima conferenza nazionale religiosa. L’insolito lungo intervallo mostra che la situazione nel Paese è buona in generale, malgrado siano emersi alcuni problemi e nuove situazioni», ha spiegato Zhu Weiqun, a capo del Comitato religioso ed etnico della Conferenza consultiva del popolo cinese, citato dal Global Times. Scopo della conferenza è «la localizzazione delle religioni straniere, e per la prima volta il segretario generale ha dato una comprensiva spiegazione teorica sulla questione»: alcune religioni in specifiche regioni sono inclini alla “decinesizzazione” e alla infiltrazione di estremisti, mentre il Vaticano usa «la leva gerarchica» per dominare sui cattolici cinesi.

Pechino e le fedi “cinesizzate”

Pechino ha abbandonato negli anni ’70 il progetto di sradicare le organizzazioni religiose optando per il loro controllo. Nella provincia orientale dello Zhejiang negli ultimi anni ci sono stati casi di demolizioni di chiese e di rimozione di croci, mentre nello Xinjiang, a maggioranza musulmana, c’è stata una stretta sulle pratiche islamiche come il Ramadan. Le pressioni sulle fedi sono in aumento, pur con segnali di dialogo tra Vaticano e Pechino, ma lo scenario di un più stretto controllo si estende in altri settori come le Ngo straniere: la terza revisione dello schema di legge, secondo insider citati dal Global Times, confermerà le contestatissime norme sulla supervisione obbligatoria demandata alla polizia.

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