Un triste 8 marzo se servirà solo a giustificare il privato di Vendola
Il caso ha voluto che si stia discutendo di utero in affitto proprio a ridosso dell’otto marzo. Una data che da tempo non è più “riempita” dalle mobilitazioni e dalle rivendicazioni e che passa stancamente, tra dichiarazioni di rito e belle parole. Neanche la tragedia dei “femminicidi” riesce a dare un guizzo creativo al fronte femminista, ripiegato su analisi sempre in affanno rispetto alla realtà. Così è avvenuto per le donne oltraggiate a Colonia e così accade per la paternità di Vendola. Un uomo, un “mammo”, si prenderà la scena ancora l’otto marzo, chiedendo all’opinione pubblica di chiamare diritto una facoltà, quella di generare, che la natura matrigna non ha concesso alle coppie gay.
Lo sconcerto delle femministe va compreso: negli anni Settanta hanno negato la famiglia e la maternità, individuandole come sovrastrutture obsolete e incapacitanti. Il caos che viviamo adesso, dove mancano risposte etiche e leggi ponderate, è un po’ anche colpa loro. Ma non è vero che sull’utero in affitto stanno lì zitte zitte. Alcune sono contrarie e lo dicono, ma solo quando si tratta di sfruttamento, se no siamo solo all’estrema conseguenza dell’antico slogan l’utero è mio e lo gestisco io. Insomma se l’utero è comprato non va bene, se è un utero solidale, invece, ci si può pure stare. E il neonato che viene fuori dalla maternità surrogata? Qualcuno pensa ai suoi diritti? Bè, l’amore soccorre, l’amore basterà a colmare il vuoto di radicamento. Eppure persino un vecchissimo paladino dei diritti come Marco Pannella non ha nascosto la sua perplessità dinanzi alla stepchild adoption. Manca una letteratura scientifica sui figli che hanno quattro genitori, che si devono districare tra tre mamme: quella che donato l’ovulo, quella che ha messo l’utero a disposizione, e quello facente funzioni, che però è un maschio… manca ma prima o poi arriverà anche la letteratura scientifica su questi bambini, che cominciano ad essere una fetta di mondo importante, a dispetto di chi si ostina a pensare che la via naturale è la migliore per giungere a procreare.
Ma il punto è ancora un altro, che le femministe – spiazzate dal loro orizzonte di esclusiva rivendicazione di genere – non sono “abilitate” a cogliere anche perché non hanno ancora stabilito se la maternità sia un valore da tutelare o un’anticaglia di cui liberarsi. Cosa succede di una civiltà o di ciò che ne resta se la Grande Madre si scompone in una grande fabbrica per mettere al mondo neonati per coppie facoltose? Ma non è giusto pretendere solo da loro una risposta visto che oggi tutte le ideologie sono in crisi: il femminismo, l’operaismo, il libertarismo, la destra e la sinistra non sanno dare risposte esaustive. Così, come ha detto Fulvio Abbate, la sinistra ripiega sulla banalità sentimentale: “Già vedo Concita De Gregorio che fa all’uncinetto le babbucce per Tobia”. Una battuta ma non solo: esprime la desolazione di vedere la parte che si è sempre considerata la parte “migliore” cavarsela dinanzi al tema tutto marxista dello sfruttamento facendo tanti auguri a Nichi ed Eddy. La funzione materna e quella paterna meccanizzate pongono interrogativi a tutti, a chiunque abbia una coscienza e non può bastare a nessuno la retorica buonista dell’amore che giustifica tutto, che fonda nuove famiglie, che sublima appetiti ageoistici. Tutti devono mettersi in gioco, per non lasciare allo hate speech (discorso di odio) dei social network la parola finale sulla nascita, quella che Hanna Arendt chiamava un nuovo inizio. Qualcosa è cominciato ma dove ci condurrà?