L’Ue tassa anche gli assorbenti: Londra dice no e le inglesi esultano

19 Mar 2016 16:29 - di Laura Ferrari

Toni trionfalistici da parte del governo britannico per l’accordo di giovedì in sede Ue destinato – secondo quanto affermano i media di Londra – a spianare la strada verso l’azzeramento della cosiddetta ‘tassa sugli assorbenti’: un imposta del 5% sui prodotti sanitari prevista finora dalla normativa comunitaria e divenuta una sorta di simbolo della “lotta di liberazione” degli euroscettici inglesi dal “giogo” normativo di Bruxelles. «Abbiamo ottenuto quello che nessun altro governo aveva tentato di ottenere», ha esultato il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, nell’occhio del ciclone per i tagli della sua ultima finanziaria – e in particolare per i tagli ai benefici sociali concessi ai disabili – e desideroso di evidenziare un “successo”. «La collera della gente contro la tassa sui tampax è stata fatta udire in modo forte e chiaro», ha insistito il titolare del Tesoro del governo Cameron. Immediata tuttavia la risposta di un portavoce del fronte euroscettico che fa campagna per la Brexit in vista del referendum del 23 giugno. «Il risultato – ha ridimensionato la cosa Robert Oxley, di “Vote Leave” – ci è stato concesso solo perché la Gran Bretagna voterà a giugno sulla sua permanenza nell’Ue. Dovremmo forse fare un referendum ogni volta che riteniamo di dover abbassare l’aliquota di una tassa?».

Tassa sugli assorbenti: in Italia c’è, ma il governo tace

In Italia, infatti, non c’è nessun referendum e il governo italiano si tiene la tassa senza fiatare. L’unico che ha provato a sollevare la questione, il deputato ex Pd, Pippo Civati. è stato spernacchiato dall’informazione di regime renziana. Attualmente l’Iva sui prodotti igienico-sanitari femminili è al 22% poiché non vengono considerati prodotti essenziali, come il pane, la pasta e i giornali. Un prodotto del quale nessuna donna può fare a meno, qundi oggettivamente essenziale. Ma per il governo Renzi la questione non si pone. Un business non da poco, visto che in questa maniera ogni donna italiana (rispetto a una consumatrice inglese) paga 18 punti percentuali in più di Iva al mese.

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