«Walesa fu una spia dei comunisti: nome in codice “Bolek”». Ma lui nega

19 Feb 2016 11:58 - di

L’accusa è grave: Lech Walesa fu una spia dei comunisti. Il sindacalista polacco che con le sue lotte contribuì a scardinare il regime comunista in Polonia, storica icona della rivoluzione di Solidarnosc e primo presidente della Polonia eletto democraticamente dopo la svolta del 1989, nonché premio Nobel per la Pace, sarebbe stato in realtà un informatore dei servizi segreti comunisti dal 1972 al 1976. Da nuove carte, in possesso dell’Istituto nazionale per la memoria (Ipn), un centro deputato a indagare sull’intreccio politico della recente storia polacca, è emerso nuovamente il nome in codice di Bolek e sono comparsi nuovi documenti risalenti alla metà degli anni Settanta, ricevute di pagamenti con in calce la firma di Walesa e tre parole annotate sulla carta: “Bolek è Walesa”.

Walesa e le nuove accuse

La calligrafia è del generale Czeslaw Kiszczak, ultimo ministro dell’Interno della Polonia comunista scomparso tre mesi fa. I documenti erano custoditi nella sua casa. La moglie avrebbe tentato di venderli all’Istituto nazionale per la memoria (Ipn) che ora, per bocca del suo direttore Lukasz Kaminski, ha confermato l’autenticità delle carte e della firma di Walesa. Ma l’ex sindacalista si è difeso, ancora una volta, come fece nel 2000, quando l’accusa di collaborazionismo con la Sluzba Bezpieczenstwa, la polizia segreta della Varsavia comunista, lo colpì per la prima volta.

Walesa si difende: è tutto falso

Dal Venezuela, dove si trova assieme ad altri premi Nobel per la pace, ha attaccato: «Non possono esistere documenti che provengono da me, e se ci sono sono falsi. Lo dimostrerò in tribunale». Più esplicita la difesa del figlio, Jaroslaw Walesa, deputato europeo, per il quale i documenti ritrovati non hanno valore perché falsificati e sono stati ripescati su “richiesta politica” di quanti sono interessati a distruggere la figura dell’eroe della rivolta sindacale che negli anni Ottanta abbatté il regime comunista. Jaroslaw Walesa, 40 anni, ha ricordato come la Sb negli anni Ottanta ha prodotto i documenti falsi su suo padre per impedire che nel 1983 gli fosse assegnato il premio Nobel per la pace. «Si tratta di una operazione che è stata già chiarita diversi anni fa», ha detto Jaroslaw nel ribadire che nel 2000 Lech Walesa è stato prosciolto dal tribunale da qualsiasi accusa e che nel 2005 lo stesso Ipn gli ha riconosciuto lo status di “vittima” del regime comunista.

La controaccusa

La controaccusa è precisa e chiama in causa il cambio di guida politica al vertice del Paese. Walesa è da tempo nel mirino di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito ultra-conservatore Pis tornato nel giro di cinque mesi al potere con la doppia conquista della presidenza della Repubblica e del governo. «Vecchia storia, che conosco da venticinque anni, perché Walesa stesso ne ha parlato più volte», ha tagliato corto Donald Tusk, ex premier e attuale presidente del Consiglio europeo. Ora la parola tornerà al tribunale. Walesa già in passato aveva ammesso di essere stato avvicinato da agenti dei servizi negli anni Settanta, dopo la repressione degli scontri di Danzica del 1970. Nel 2000, di fronte ad accuse come quelle di ora, il tribunale lo prosciolse. Ma l’ombra di quei servizi continua a inseguirlo ancora.

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