Il Pd mette a Regeni l’aureola del partigiano. Non è meglio esigere la verità?

14 Feb 2016 14:29 - di Alessandra Danieli

Giulio Regeni come Giancarlo Siani, come Giorgiana Masi, con un pensiero ai tanti che vollero credere alla possibilità di un mondo migliore e per questo morirono”.  Un paragone un po’ forte, forse inopporturno, quello fatto dalla governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che ha voluto ricordare il giovane ricercatore italiano ucciso in Egitto nel corso della cerimonia per commemorare l’eccidio di 23 partigiani, fucilati l’11 febbraio 1945.  Citando Regeni, Serracchiani ha aggiunto che “l’oblio non vincerà la sete di verità e giustizia che ci incalza la coscienza”.

Regeni diventa un eroe partigiano

Una coincidenza? La giovane Serracchiani, cresciuta all’0mbra del Pd renziano, ex enfant prodige della sinistra rottamatrice, con quelle parole ha finito per strumentalizzare la morte (ancora misteriosa) del giovane italiano, ricercatore all’American University del Cairo, in salsa antifascista. In mancanza di una chiara presa posizione del governo italiano, che anche in questo caso, non brilla per autorevolezza nei confronti di un paese straniero, Regeni diventa una sorte di eroe post-partigiano. E ancora, che c’entra la vicenda di Giulio Regeni  con la morte di  Giorgiana Masi, la studentessa, vittima della violenza degli anni di piombo, uccisa a 18 anni  durante gli scontri con le forze dell’ordine in una manifestazione della sinistra extraparlamentare? Che c’entra Regeni con il giovane giornalista napoletano ucciso dalla camorra perché scomodo testimone delle infiltrazioni politiche nelle maglie di Cosa Nostra?

Il governo cerchi la verità

Certi accostamenti rischiano di allontanare i riflettori dalla necessità di conoscere la verità sulla drammatica fine di un italiano. Un italiano, non un militante politico da sbandierare  nella solita contrapposizione ideologica che caratterizza il nostro Paese.  Scomodare la coscienza antifascista, ricordarlo in mezzo ai gagliardetti dell’Anpi, non aiuterà il governo italiano a mettersi la coscienza in pace dopo i particolari agghiaccianti sull’autopsia che hanno dimostrato i segni della tortura sul corpo del  ricercatore italiano. Una brutta storia sfiorata, sembra, da depistaggi, versioni contrastanti, scontri di intelligenze srtraniere.  Di fronte a questo scenario, la governatrice del Friuli Venezia Giulia avrebbe fatto meglio a sollecitare il governo italiano ad alzare la voce nei confronti delle autorità egiziane. Il vero scandalo sta nel silenziatore messo alla drammatica  vicenda dello studente italiano e nell’immobilismo di Palazzo Chigi che aspetta i tempi del Cairo con supina acquiescenza.

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