La morte di Regeni è un giallo: la polizia parla di incidente, la stampa di tortura
Si è risolta in tragedia la scomparsa al Cairo dello studente friulano Giulio Regeni il cui corpo è stato ritrovato in un fosso della periferia della capitale egiziana. E, secondo quanto scrive il sito del quotidiano ‘Al Watan’, sul cadavere del giovane italiano vi sarebbero dei “segni di tortura”. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha espresso “il profondo cordoglio personale e del governo ai familiari” che erano giunti al Cairo per seguire le ricerche del giovane friulano scomparso il 25 gennaio. Il governo italiano ha anche richiesto alle autorità egiziane il massimo impegno per l’accertamento della verità . Finora non c’è nessuna ipotesi ufficiale sulla matrice del delitto di cui è stato vittima il dottorando che, da settembre, abitava in un appartamento del Cairo per scrivere una tesi sull’economia egiziana presso l’American University. Scarne le informazioni sugli ultimi minuti, poco prima delle 20 di quel lunedì 25 gennaio in cui Regeni era sicuramente vivo, come riportato da alcune fonti: il giovane stava andando a trovare amici per un compleanno (circostanza confermata da un suo amico, Omar Aassad). Si stava spostando a piedi tra il quartiere di El Dokki, sulla sponda sinistra del Nilo, e il centro che è su quella destra, diretto dalla stazione della metropolitana di Bohoot a quella di Bab Al Louq, circa 5 km in linea d’aria più a ovest, nei pressi di piazza Tahrir.
Le notizie che arrivano dall’Egitto disegnano i contorni di un vero e proprio giallo sulla morte del nostro connazionale: l’Associated press parla di segni di bruciature sul corpo del giovane ma con una fretta assai sospetta la polizia si sbilancia e dice che non c’è nessun sospetto crimine dietro la morte di Giulio Regeni. Insomma, si sarebbe trattato di un incidente stradale. Ipotesi suffragata anche dalla prefettura di Giza. Tuttavia il corpo del giovane, nell’obitorio di Zeinhom, non può essere visto ed è protetto da un impressionante dispositivo di sicurezza: questo è quanto ha riferito un avvocato per la difesa dei diritti umani egiziano, Mohamed Sobhy, sulla sua pagina Facebook.