Sanremo, perché tante critiche a Brignano? Non ha difeso la famiglia gay…

13 Feb 2016 11:58 - di Silvano Moffa

Ma che razza di epoca viviamo? In un mondo capovolto, assurdo, manicheo. Dove si è “in” se mostri il meglio/peggio dello stucchevole, imperante conformismo. Dove sei un genio (si fa per dire) se ti adatti a tutto quel che  suona di “politicamente corretto”. Sei invece, irrimediabilmente “out” se ti discosti dai canoni correnti. Con la differenza che il primo elemento, al massimo, scuote i sensi, in verità un po’ confusi di questi tempi, mentre il secondo ti fa vibrare l’anima. Al Festival di Sanremo arriva Enrico Brignano, comico romano che non ha certo bisogno di presentazioni. Da anni calca i palcoscenici di mezzo mondo, raccogliendo applausi e catturando simpatia per le battute in romanesco piene di spirito sapido, essenziale. A volte si concede qualche spudorata effervescenza verbale. Ma lo fa con una mimica facciale e un guizzo, nel tono di voce, utile a svestire di volgarità la frase appena pronunciata. E fa ridere. Come deve far ridere un comico, anche quando affonda il bisturi della parola nel costume quotidiano, svelando ancestrali pulsioni, ataviche idiosincrasie, borghesi manie e popolari turbamenti. Eppure, a leggere i commenti del giorno dopo sulla “grande”stampa, Brignano non è piaciuto. Il Corriere addirittura lo massacra. Un comico di livello basso. Scontate le sue battute. Insomma uno che non fa ridere. Ci mancava solo che scrivessero che la sua apparizione ha abbassato lo share, davvero eccellente, delle serate sanremesi di Carlo Conti. Ci è mancato poco. Scava scava, ti accorgi però che quel che non è piaciuto di Brignano sono stati i suoi due monologhi. Soprattutto quello dedicato al rapporto padre-figlio. “Vorrebbe virare sull’impegnato, ma sembra un’impresa ardua per lui. Non è Benigni. Ma neanche Frassica, che almeno sa far ridere”, sentenzia il giornalone di Milano. Ecco il punto di caduta, la questione delle questioni. Brignano non fa ridere perchè, in un monologo – per noi, al contrario, azzeccato ed emozionante – ha semplicemente parlato del desiderio naturale di un padre di avere un figlio dalla donna che ama e di come cambia l’ uomo una volta messo di fronte alla meraviglia della vita che sgorga dal grembo di una madre. Sensibilità pura. Normalità. Sentimento. Amore. Solo che, a Sanremo, per la mentalità conformista dilagante vai bene se confondi le note con le strisce arcobaleno, se mischi il canto, la battuta, il ritornello a quei colori trasformati, chissà perché?, in emblema e simbolo dei diritti civili, delle unioni gay, del pacifismo a prescindere, del politicamente corretto. E dire che l’arcobaleno, con la sua effervescenza cromatica e la incantevole curvatura, è quanto di più evanescente ci possa essere. Una illusione ottica, più che un elemento concreto del reale. Ebbene, Brignano ha toccato un tasto che non doveva toccare. Pollice verso, per lui. Andare “controcorrente”, una volta, per dirla con Celentano, “faceva rock”, ora è un peccato da punire. Permetteteci, cari signori del “politicamente corretto” di non pensarla come voi. “Quanta più alta è la sensibilità, e più sottile la capacità di sentire, tanto più essa vibra e freme per le piccole cose”, scriveva  Fernando Pessoa. A volte per capirlo, ci vuole, però, una prodigiosa intelligenza. Grazie, Enrico, per averci provato.

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