Quarant’anni fa, quando le Brigate rosse erano sedicenti o “nere”

14 Feb 2016 11:33 - di Renato Berio

Il 10 febbraio del 1986, tre decenni fa esatti, le Brigate rosse uccidevano l’ex sindaco di Firenze Lando Conti (Pri) in un agguato in cui compariva nuovamente la famigerata mitraglietta Skorpion che aveva fatto fuoco nel 1978 davanti alla sede missina di via Acca Larenzia. Un anno dopo, nel 1987, e proprio nel giorno di San Valentino, durante un assalto a un furgone portavalori, ancora le Br uccidevano gli agenti Lanari e Scravaglieri. Sono le ultime azioni criminali dell’organizzazione (che nel 1988 condannerà a morte anche il senatore Dc Roberto Ruffilli) che a lungo la sinistra aveva faticato ad accettare come reale.

L’emblema di questa complice inconsapevolezza fu un articolo di Giorgio Bocca che a suo modo fece scuola: uscì 41 anni fa, nel febbraio del 1975, sul quotidiano Il Giorno e con un titolo che era già una tesi, L’eterna favola delle Brigate Rosse. La sinistra, non solo quella comunista, si ostinò infatti a lungo a dipingere il terrorismo rosso come una variante camuffata di quello nero. E ciò perché, secondo l’analisi di Alberto Ronchey, il Pci aveva sottostimato le pulsioni settarie – veteroleniniste o staliniste – a sopprimere l’avversario pur conoscendo bene i gruppi di militanti che si erano dati alla clandestinità come il gruppo di Reggio Emilia guidato da Alberto Franceschini. Un ritardo nel riconoscere l’esistenza delle Br che andò dal 1972 al 1977  e che indusse molti intellettuali a chiudere gli occhi anche dinanzi alla morte di Giangiacomo Feltrinelli dilaniato nel 1972 dall’ordigno che si accingeva a piazzare sotto un traliccio dell’alta tensione. Ebbene anche quell’omicidio fu addebitato ai fascisti, ai servizi segreti, alla Cia o al Mossad attraverso una radicale opera di rimozione per la quale le autocritiche furono tardive e poco solenni.

Quando Bocca scrive il suo articolo le Br sono uscite allo scoperto già da cinque anni. Come ricorda Giano Accame nel suo Una storia della Repubblica le prime azioni sono note a Milano dall’agosto del 1970 con la diffusione alla Sit-Siemens di volantini siglati Br e con l’incendio dell’auto di un dirigente della stessa ditta rivendicato dai brigatisti. Quando, annota Accame, il Pci si rese finalmente conto sul finire del decennio dei Settanta dell’ “avventurismo dilagante alla sua sinistra il suo intervento fu determinante per l’isolamento sia del terrorismo che del movimento dell’Autonomia e delle ultime tossine dell’utopismo rivoluzionario”. Ma ci volle il cadavere di Aldo Moro per provocare questo choc di consapevolezza. Le morti di Mazzola e Giralucci (Padova, 1974) non provocarono invece neanche una puntura di spillo nelle coscienze dei progressisti antifascisti.

Perché ricordare questo intreccio di anniversari nel contesto attuale? Perché possa servire come utile riflessione sui guasti che una rallentata consapevolezza della realtà porta con sé. L’analisi tutta ideologica che ancora adesso la sinistra fa di alcuni fenomeni – l’immigrazione, il multiculturalismo, l’integrazione degli islamici e da ultimo l’estensione dei diritti civili – non porterà solo danni in termini di consenso ma potrebbe avere in una prospettiva di lunga durata lo stesso devastante effetto del  “tradimento dei chierici” perpetrato negli anni Settanta dagli “eskimi in redazione”.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *