Panebianco come lo storico De Felice. Che non ebbe neanche la scorta
Non si placano i contestatori del prof. Angelo Panebianco. Anzi, per ribadire che si sentono dalla parte della ragione, hanno occupato per alcune ore la vicepresidenza della facoltà di Scienze politiche. Di qui la scelta del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica di Bologna che ha deciso di adottare misure per la tutela del docente. I collettivi che se la prendono con il “guerrafondaio” Panebianco sono in realtà due (quello denominato Cua e quello legato al centro sociale Hobo) e rivaleggiano tra loro contendendosi spazi di agibilità e protagonismo innalzando la ridicola bandiera del pacifismo violento. Una contraddizione in termini ma loro, su Fb, la spiegano così: l’università è uno spazio politico e loro non staranno a guardare chi dalle cattedre esprime “sporchi messaggi” in favore della guerra. Non solo: la contestazione si farà più approfondita. E dopo avere ricevuto la benedizione di Mario Capanna, eterno contestatore con lauta pensione da deputato, ricevono anche un cauto incoraggiamento dall’assessore bolognese Davide Conte, che glissa sulla condanna della contestazione subìta da Panebianco: “Non soffermiamoci su alcuni studenti, il cui operato è tutto da verificare e tutto da capire, e su cui è già operativa un’attività degli organi giudiziari preposti. Ma cerchiamo di concentrarci sul valore aggiunto e sulla bellezza dell’Università…”. Il che significa: parliamo d’altro. Per lunedì la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico si prevede blindata, con i movimenti pacifisti – per nulla intimiditi – già fibrillanti e pronti a presidiare e a protestare.
Il caso Renzo De Felice: un precedente che spiega l’intolleranza contro Panebianco
La storia delle università come zona franca dove una minoranza ideologizzata può assumere atteggiamenti violenti e organizzare iniziative di prevaricazione contro la libertà di espressione e di docenza va avanti da tempo. Capitò anche allo storico Renzo De Felice al quale non fu perdonato, nel 1974, il volume sugli “anni del consenso” della monumentale biografia di Benito Mussolini. Come si permetteva, De Felice, di scrivere che il fascismo fu supportato dal consenso popolare? Una martellante campagna di demonizzazione fu orchestrata proprio da quella categoria dei “chierici” che oggi trova il coraggio di difendere Panebianco ma ieri fu la prima a puntare l’indice contro Renzo De Felice. “Il sociologo Franco Ferrarotti su Paese sera – ricorda Claudio Siniscalchi, che di De Felice fu studente, sul Giornale – rimproverò De Felice di considerare il fascismo un capitolo concluso del Novecento. L’interpretazione defeliciana venne bollata da Leo Valiani, sul Corriere della sera, di insensibilità morale. Paolo Alatri sul Messaggero imputò a De Felice incompetenza storiografica. Il colpo più duro lo assestò Nicola Tranfaglia. Su Il giorno scrisse che nell’intervista De Felice sosteneva tesi pericolose, capaci di indurre nelle giovani generazioni gravi guasti. La rivista Italia contemporanea promulgò addirittura un appello contro la «storiografia afascista» e il «qualunquismo storiografico» di De Felice”. Seguirono le contestazioni all’università La Sapienza, le frequenti interruzioni delle sue lezioni, gli insulti contro di lui affissi nelle bacheche fino all’attentato incendiario che prese di mira la stessa casa dello storico, nel quartiere romano di Monteverde. Tutto venne tollerato, giustificato, rimosso. E adesso che capita di nuovo è bene ripensare a questo scomodo precedente e ricavarne la lezione che la libertà è sempre da difendere contro ogni fanatismo ideologico.