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Ignazio La Russa: «Marchini non lo vogliamo. La Meloni resta in corsa»

Ignazio La Russa: «Marchini non lo vogliamo. La Meloni resta in corsa»

Home livello 3 - di Redazione - 8 Febbraio 2016 - AGGIORNATO 8 Febbraio 2016 alle 15:01

Onorevole La Russa, è colpa sua? «In effetti sì. Sono stato io a incoraggiare la Meloni perché anticipasse l’annuncio della gravidanza. Lo so che prima dei tré mesi non si fa ma c’erano esigenze politiche superiori. Se avesse continuato a tergiversare sulla sua candidatura a Roma avrebbe dato l’idea di atteggiarsi, invece c’erano motivi seri». L’hanno attaccata per aver scelto il Family Day per l’annuncio… «Ne ha sofferto molto. L’annuncio non era preventivato, è partito sull’emozione del momento. E se pure la Boldrini, non so se obtorto collo, le ha espresso solidarietà, significa che quegli insulti sono stati un vero autogol».

«Sì, se non troviamo la persona adatta a Roma, Giorgia scende in campo».

«L’unico veto è a Marchini, che è di sinistra e non ha mai dichiarato di porsi al servizio del centrodestra. Su Bertolaso eravamo disponibili ma ora che ha rinunciato, lo scenario si è riaperto a ogni ipotesi, compreso un nome a sorpresa che stiamo sondando in questi giorni. A Roma tutto è sempre più complicato», spiega Ignazio La Russa a “Libero”. A Milano invece è tutto risolto? «Noi eravamo per Sallusti ma, come dice Salvini, forse è troppo identitario. Ora l’ipotesi più forte in campo è Parisi, un ottimo candidato. L’importante però è decidere in settimana, per non lasciare campo aperto alla propaganda della sinistra. Certo, vedendo che a Roma la Lega è pronta a sostenere Marchini malgrado il nostro no, mi pare davvero incomprensibile il veto padano a Lupi a Milano».

«Questi di Ala mi ricordano molto Giuseppe Sala», ironizza La Russa

«Sala è un manager della politica. Stava con la Moratti, ora è con Renzi, se Mussolini risorgesse dalla tomba forse sarebbe capace di mettersi in orbace, così come non ha avuto problemi a posare con il basco di Che Guevara. E pure quelli di Ala sono così: ravviso similitudini con il Tognazzi de “Il Federale”: con gli americani già a Roma, inseguiva riconoscimenti dal regime fino a rischiare di finire fucilato. I verdiniani non saranno fucilati ma la maggior parte rischia di fare la fine dei miei colleghi che hanno seguito Fini». Già, Fini: lo sente ancora? «Solo occasionalmente. Le sue responsabilità sono grandi ed evidenti ma questo non mi impedisce di riconoscergli il merito iniziale di aver dato credibilità ad An. E poi, a differenza di Salvini, e anche della Meloni, ha avuto la capacità di far crescere intorno a sé una vera classe dirigente e la forza di non accantonare gli avversari politici interni». E poi cosa gli è successo? «Ha pensato di essere più importante di An e che le fortune del partito dipendessero da lui più che dai nostri valori fondanti».

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8 Febbraio 2016 - AGGIORNATO 8 Febbraio 2016 alle 15:01