«È un cornuto bastardo»: l’ira del boss Laudani contro il nipote “pentito”

10 Feb 2016 19:56 - di Redazione

Un cornuto. Bastardo e cornuto. Il tradimento inatteso e per questo più doloroso, quello del nipote prediletto, merita l’ingiuria. Il predestinato a prendere il suo posto che tradisce. Si pente. Perciò è un cornuto. Sebastiano Laudani, 90 anni, agli arresti domiciliari per il suo stato di salute, storico patriarca dei ‘Mussi di ficurinia’ (labbra di ficodindia), non ha avuto remore: suo nipote, erede designato, è “un bastardo, un cornuto”. Perché si è pentito. Giuseppe Laudani, è “un disonorato”. E anche di più. Perché suo nonno, ‘Iano’ Laudani, dopo la morte del figlio Gaetano, assassinato nella guerra di mafia che nel 1992 insanguinò Catania, con oltre 100 omicidi l’anno, aveva preso a cuore il nipote. Il “sangue del suo sangue”. Lui e Alberto Caruso, suo fratello anche se ha un cognome diverso, ‘Iano’ Laudani li aveva cresciuti con l’affetto da nonno, ma, soprattutto, educandoli personalmente, fin dalla più tenera età, alle rigide regole dell’appartenenza mafiosa, dell’intimidazione e della violenza: della mafia che conta e comanda, con ogni mezzo. E lui, Giuseppe Laudani, ai vertici della ‘famiglia’ c’era arrivato: l’aveva guidata, come una holding, dal 1999 al 2010. Nonostante parte della ‘famiglia’ ne avesse ostacolato l’ascesa, ritenendolo inaffidabile. Poi l’inconcepibile. Il salto dall’altra parte: collaboratore di giustizia. Unico componente della famiglia di sangue a passare dalla parte dello Stato. Il disonore massimo. Ricostruzioni e dissensi emergono dall’ordinanza del Gip Alessandro Ricciardolo sul clan Laudani, con 109 indagati, ai quali i carabinieri di Catania hanno notificato il provvedimento di custodia cautelare. Ai magistrati della Dda di Catania, Giuseppe Laudani, oltre che parlare di aspetti criminali, fornisce anche dettagli sulla sua vita in famiglia. E anche del perché li chiamavano ‘Mussi di ficurinia’. “C’era una vecchia zia – spiega Pippo Laudani – che aveva quasi dei baffi, e quando ti baciava ti pungeva, era come se si baciassero delle labbra di ficodindia…”. E il bacio di Giuda, del ‘traditore’ per i ‘cristiani’ del clan, lo dà, idealmente, Pippo al nonno Iano. A dare la notizia del ‘pentimento’ del nipote del cuore all’anziano boss, il 7 aprile del 2010, è Maria Scuderi, nuora del capomafia – suo marito Santo Laudani è stato ucciso nel 1990 – e zia del ‘collaboratore’, che, durante un colloquio in carcere, contesta l’antica scelta al patriarca: “Lo so che avevi un debole per questo ragazzo, per Pippo, ma tu dovevi fare diversamente, purtroppo te ne stai accorgendo ora tu stesso…”. Il patriarca trattiene la rabbia, ma sbotta, si sente ‘disonorato’ dal nipote che gli ha ‘macchiato’ il nome: “la mia ‘doloranza’ più forte – rivela – è che questo bastardo, e cornuto ha ‘macchiato il nome'”. Maria prova a consolarlo, gli affiliati conoscono la verità, gli ricorda: “i ‘cristiani’ lo sanno…”, afferma decisa. Ma “l’onorabilità è la cosa più bella del mondo”, commenta il patriarca, ha fatto “una cosa veramente pesante”. Dal colloquio emergono anche i contrasti all’interno della ‘famiglia’ Laudani per l’ascesa di ‘Pippo’, il nipote prediletto che per non avere ostacoli nella sua corsa al vertice avrebbe progettato anche di uccidere un suo cugino. “Era tanto pazzo – ricorda Maria Scuderi, che ha due figli Sebastiano e Santo – che 6-7 anni fa doveva ammazzare mio figlio. Un cugino che ammazza un cugino, dopo che erano cresciuti insieme. Lo stesso sangue… Ma io – ricorda al patriarca – gli ho fatto fare pace. Per amore della famiglia, per amore dei ‘cristiani’…”. Centonove dei quali sono da oggi in carcere. Compresa lei.

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