Caso Regeni, Craxi non avrebbe digerito lo “schiaffo” egiziano

15 Feb 2016 12:04 - di Redattore 54

Ancora depistaggi sulla morte di Giulio Regeni. I testimoni scovati dalla polizia egiziana raccontano versioni che non reggono neanche per poche ore alla più semplice delle verifiche, come quella secondo cui il ragazzo sarebbe stato prelevato il 25 febbraio alle 17,30 mentre la sera di quel giorno risulta che Regeni era in chat su Fb con la fidanzata. Il gioco delle fonti egiziane, forse reclutate allo scopo, è scoperto: depistare e ancora depistare. Dinanzi a questo muro omertoso gli investigatori italiani non hanno certo un compito agevole. Ma non è sul piano delle indagini che è necessaria una sterzata: il silenzio assordante del governo Renzi su questa vicenda, già derubricata a delitto di cui non sapremo mai nulla, è un chiaro segnale dell’Italia ad Al Sisi. Un segnale che indica disponibilità a passare sopra al tragico episodio in nome di un’amicizia con un regime che risulta troppo conveniente per essere messa a repentaglio. Il povero Regeni è stato scaricato, un morto scomodo, che si è messo di traverso in quelle buonissime relazioni commerciali che dopo l’avvento al potere del generale Al Sisi (applaudito dagli Usa e dai suoi alleati occidentali) si sono rafforzate e intensificate, con all’orizzonte un volume di affari che ammonta a 5 miliardi, frutto di un interscambio in espansione (cui si aggiunge il maxigiacimento di gas scoperto dall’Eni in acque egiziane). E anche la sinistra non ha tardato ad allinearsi alla linea del silenzio. Paradossalmente a invocare la verità sono più gli esponenti di destra che quelli della parte schierata con il manifesto per il quale Regeni scriveva i suoi report. Dopo i rimproveri di Renato Brunetta all’inerzia di Palazzo Chigi sulla vicenda dello studente italiano barbaramente torturato e ucciso arriva l’impietosa analisi di Pierferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, intervistato dal QN.

“Dall’Egitto – dice Casini – non sta arrivando la verità. Se vogliamo mantenere il nostro decoro nazionale e il nostro ruolo nel Mediterraneo dobbiamo pretendere la verità. Ricordo il Craxi di Sigonella, che in poche ore decise, andando contro gli americani, di imboccare la strada della difesa della dignità nazionale. Ora su Craxi si possono avere visioni diverse, ma quella fu una delle pagine più importanti della nostra politica estera. Mi auguro che Renzi non si accontenti delle verità di comodo”. “Il fatto – continua – che ci sia un rapporto speciale tra noi e l’Egitto non ci rende più deboli ma ci deve rendere forti e non può far dubitare l’Egitto su di noi. Proprio perché siamo amici, dagli amici non accettiamo le finzioni”.

Secondo Casini la vicenda di Giulio Regeni si inquadra all’interno di uno scontro tra pezzi dello Stato in competizione tra loro: “Il governo egiziano per difendersi dalle minacce jihadiste ha messo in campo tutti i mezzi leciti e anche quelli non sempre leciti. Apparati che dipendono dalle forze armate e altri dal ministero dell’Interno e io temo che questa storia si collochi in una sorta di antagonismo e competitività tra pezzi dello Stato. Non escludo che per un drammatico eccesso di zelo di qualche apparato si sia ritenuto il nostro giovane parte di un puzzle più ampio e pericoloso per lo Stato. È ormai acclarato – aggiunge Casini – che le torture e l’atroce strazio di Regeni siano state un’opera di killeraggio da parte di gruppi di squadre speciali”.

 

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