Brexit, è scontro tra i conservatori per il “voltafaccia” del premier Cameron
La querelle sulla Brexit (l’uscita del Regno Unito dalla Ue) fra i conservatori è ormai diventata guerra intestina. Secondo il Sunday Times, che cita fonti interne al partito di governo, ci sono rancori così forti nei confronti di David Cameron che il premier rischia di dover affrontare una sfida alla sua leadership subito dopo il referendum del 23 giugno, anche in caso di vittoria del fronte pro Ue che lui sostiene, per i suoi ripetuti attacchi contro il sindaco di Londra, Boris Johnson, e agli altri maggiori rappresentanti dello schieramento Tory che chiedono invece l’uscita del Regno Unito dall’Europa. Nell’ala euroscettica del partito alcuni deputati ribelli affermano di non avere ”nessun problema” a raccogliere 50 firme di colleghi per tentare un voto di sfiducia a Cameron. Il primo ministro ha già dichiarato più volte, anche alla Camera dei Comuni, di non voler correre per il terzo mandato e di lasciare campo libero ai maggiorenti che aspirano alla sua poltrona. Ma non certo in tempi così rapidi, la legislatura da poco iniziata termina infatti nel 2020. Il referendum del 23 giugno è però un passaggio cruciale sia per Cameron, che secondo molti osservatori si gioca tutta o gran parte della sua carriera politica, che per i Tory spaccati sull’Europa. Mentre infatti sul Sunday Telegraph si confrontano in due interviste opposte il primo ministro, che ricorda come la Brexit sia un ”salto nel buio”, e il ministro del Lavoro Iain Duncan Smith, che vede invece nell’uscita dal club dei 28 un ”passo verso la luce”, la ”guerra civile”, come qualcuno l’ha definita, va avanti. Duncan Smith ha duramente criticato le linee guida del governo che non permettono ai ministri pro Brexit di avere accesso ai documenti ufficiali sul referendum e sui negoziati di Cameron con Bruxelles.
I conservatori si spaccano sulla permanenza inglese nella Ue
Ma il ministro degli Esteri, Philip Hammond, ha ribadito questa posizione, affermando che l’esecutivo è pro Ue, quindi i ministri che la pensano diversamente sono liberi di farlo ma non possono chiedere la collaborazione dei funzionari pubblici bensì rivolgersi alla campagna referendaria che sostiene la Brexit. Non finisce qui. Dopo che sabato scorso il Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha ottenuto il sostegno del G20 finanziario, che ha fatto una importante dichiarazione contro la Brexit sostenendo che causerebbe uno shock economico globale, ha poi attaccato Johnson. Boris infatti, si era paragonato nella sua lotta per far uscire il Paese dall’Ue a James Bond, impegnato contro oscure organizzazioni criminali internazionali. Non ha gradito Osborne, secondo il quale non c’è nulla di ”divertente” nella Brexit e soprattutto nelle sue possibili conseguenze economiche. E rincara la dose, dalle pagine dell’Observer, il sottosegretario degli Affari Europei, David Lidington, che prospetta in caso di uscita dall’Ue ”dieci anni di incertezza economica” per il Paese. Servirebbe infatti un lasso di tempo così lungo per stringere nuovi trattati commerciali a livello internazionale, col rischio di vedere nel frattempo un progressivo rallentamento dell’economia nazionale e l’ulteriore indebolimento della sterlina.