Tra pop art e leggende metropolitane: ecco chi era veramente David Bowie

11 Gen 2016 10:33 - di Carlo Marini

David Bowie è «morto oggi pacificamente sostenuto dalla sia famiglia dopo 18 mesi di battaglia contro il cancro». Lo ha annunciato la famiglia della grande rockstar britannica sull’account Twitter ufficiale dell’artista. Via Twitter è arrivato anche il cordoglio del premier britannico David Cameron.  «Sono cresciuto ascoltano e guardando il genio pop di David Bowie. Era un maestro nel reinventarsi e continuava ad azzeccarci. Una perdita enorme». L’8 gennaio Bowie aveva appena compiuto 69 anni: e aveva deciso di festeggiare con la pubblicazione di un album di inediti, “Blackstar”.

La carriera musicale di David Bowie

Il vero nome di David Bowie, nato a Londra l’8 gennaio 1947, era David Robert Jones. Come in molti altri casi, anche la sua avventura nella musica è cominciata con un disco invenduto, Liza Jane, inciso nel 1963 sotto il nome di Davy Jones e I King Bees. Probabilmente l’incontro cruciale della sua carriera è stato quello con Lindsay Kemp nel 1967: grazie a lui ha appreso i segreti del mimo e della messa in scena teatrale, elementi fondanti della sua personalità artistica affermatasi attraverso le ormai celebri impersonificazioni, Ziggy Stardust, l’alieno icona della più provocatoria ambiguità sessuale, e il Duca Bianco, algida figura che ha schiuso le porte della new wave. Nei panni di questi due personaggi, Bowie ha inciso album leggendari come Space Oddity, The Man who sold the world, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars. In questi anni accanto a lui c’è Mick Ronson, chitarrista-produttore di enorme talento che ha avuto un ruolo decisivo, anche sul piano compositivo, nella carriera di Bowie che, all’inizio degli anni ’80 è già un mito, uno dei pochi capaci di conciliare rock e teatro, pop e avanguardia, ambiguità sessuale e arti visive, trasgressione e letteratura potendo contare su solidi legami che vanno dal rock’n’roll stardom a Andy Warhol e William Burroughs. Dopo Station to station e The Thin White Duke Bowie lascia Los Angels e si trasferisce a Berlino dove, con la collaborazione di Brian Eno, registra tre degli album più importanti della sua carriera, Low, Heroes (forse il suo capolavoro) e Lodger: è la celebre “trilogia berlinese”, un momento decisivo per lo sviluppo del rock del periodo. A Berlino Bowie riesce a liberarsi dalla schiavitù della cocaina che stava per distruggergli la carriera e inaugura gli anni ’80 con una nuova clamorosa svolta stilistica che gli frutterà il più grande successo commerciale della sua discografia, Let’s Dance, un raffinatissimo viaggio attraverso il rockþnþroll, il funky, la dance più elegante. La tournée che segue la pubblicazione dell’album, The serious moonlight tour, è tra le più belle mai viste. È il periodo più commerciale di Bowie che spiazza ancora una volta i suoi fan formando i Thin Machine, un quartetto chitarra, basso, batteria che suona un rock durissimo e privo di concessioni, disastroso dal punto di vista del mercato.

David Bowie da protagonista anche al cinema

Bowie è entrato anche nellla storia del cinema. Da attore ha prestato il suo genio a diverse pellicole. Tra i film dove ha lasciato il segno, il fantasy degli anni ’80 Labyrinth,  L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese dove interpreta Ponzio Pilato, Fuoco cammina con me di David Lynch e in The Prestige di Christopher Nolan, dove è l’inventore Nikola Tesla. Voci allarmistiche sulla salute del cantante londinese circolavano periodicamente da quando nel 2004, durante una tourneé in Europa, Bowie subì un infarto sul palcoscenico e fu salvato per miracolo. Bowie da anni si era fatto vedere in pubblico solo pochissime volte. Secondo Paul Trynka, uno dei suoi biografi più apprezzati, il cantante era «consapevolmente sparito dalla circolazione» dopo l’infarto: «Per qualcuno così costantemente vanitoso e ossessionato di sé, la malattia e la conseguente realizzazione della propria mortalità’ sono state un enorme colpo psicologico». Trynka era convinto che Bowie, sparendo dal mondo «in modo hollywoodiano» avesse messo in atto il suo ultimo “coup de theatre”: «Una sorta di Houdini. E il fatto che non l’abbia mai annunciato lo rende ancora più misterioso».

David Bowie e le leggende metropolitane

Non a caso tra i suoi fan era spuntata persino la leggenda metropolitana che fosse un vampiro, leggenda alimentata appunto dall’aura di mistero che l’artista sapeva far circolare. Allo stesso modo erano circolate diverse versioni sul perché dei suoi occhi di colori diversi: uno blu, l’altro marrone. Effetto di droghe o, più banalmente, un pugno che gli aveva causato danni irreversibili? Anche su questo l’artista sapeva giocare da par suo. Come aveva ricordato Geoffrey Marsh, curatore della mostra “David Bowie is” al Victoria and Albert Museum di Londra, l’artista londinese «ha lasciato ormai un’impronta così forte nella cultura contemporanea che se anche non si fa vedere fisicamente parlano per lui la sua icona e le sue canzoni». E continueranno a parlare nel tempo.

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