Le news tra bufale, manipolazioni e social: istruzioni per l’uso
Il giornalismo, travolto dai tempi fulminei delle news online, sta scomparendo? No, si sta solo trasformando. Questa è la risposta cui giunge Pino Scaccia, inviato del Tg1, nel suo libro-inchiesta appena uscito Giornalismo, ritorno al futuro. Istruzione per i nuovi giornalisti digitali (Giubilei Regnani, pp. 298, euro 16) che analizza – con il supporto di dati, citazioni, esempi memorabili, rfierimenti alla storia del giornalismo – il modo in cui la rivoluzione tecnologica in atto ha cambiato i contenuti dell’informazione e rivoluzionato il mestiere di chi lavora con le notizie. Il giornalista del futuro non sarà un “narciso” innamorato della sua scrittura, del suo personaggio, del commento e dei riflettori. No, sarà uno che lavora rapidamente, che sa districarsi tra montaggi audio e video, che magari perde più tempo su Fb e su Twitter che a scrivere l’articolo stesso. I cantori della qualità non stiano troppo a lamentarsi. E’ la storia che lo impone. Scelgano la soluzione più facile: un bel copia e incolla e l’articolo è servito, nelle modalità richieste dal flusso quotidiano. Magari, almeno, districandosi tra le insidie.
Le insidie e i rischi del giornalismo online
Scaccia ne fa un piccolo, convincente, elenco: l’affidabilità di Wikipedia, le bufale confezionate apposta per diventare virali, le legioni di imbecilli (formula coniata da Umberto Eco) che si incontrano sul web, il rapporto orizzontale con l’utente 2.0 che si crede esperto di tutto, e infine – ultima ma non meno importante – la manipolazione utilizzata senza alcuna remora soprattutto quando ci sono scenari di conflitto da “raccontare”. Scaccia fa riferimento, a questo proposito, alle cosiddette “primavere arabe” e in particolare alle rivolte in Libia, amplificate e ingigantite dai filmatini che giravano su youtube. “Mi è bastato andare a Bengasi – racconta – per capire che la realtà era diversa e che soprattutto il Qatar, attraverso Al Jazeera e quegli interventi sul web, voleva amplificare la repressione di Gheddafi per giustificare un intervento internazionale. Per non parlare poi di lavori al cimitero di Tripoli fatti passare per fosse comuni”. Scaccia si sofferma molto sulla sua esperienza di inviato di guerra, sulla circostanza che il mestiere sarà salvato solo dalla curiosità disinteressata di chi vuole essere testimone di fatti, e lo fa per passione più che per soldi. Una specie in estinzione? Non proprio se si guardano le cifre sui reporter che hanno perso la vita per fare il loro lavoro: più di mille (1048) negli ultimi nove anni, quasi tre a settimana. E il succo del lavoro da fare qual è, in definitiva? Scaccia non ha dubbi: “Ognuno ha la sua verità, ai cronisti onesti spetta il compito di dirle tutte”.