Banche, ora spuntano 16 miliardi di azioni a rischio di venti istituti

12 Dic 2015 11:49 - di Alberto Fraglia

Ci sono quasi 16 miliardi di euro di azioni di banche, medie e piccole, non quotate sui mercati regolamentari e difficilmente scambiabili che potrebbero inoltre perdere una parte consistente del loro valore nei prossimi mesi oltre che essere soggetti a eventuali bail in. E’ quanto si ricava dai dati Consultique elaborati dall’ANSA che tengono conto di circa 20 istituti di credito.I dati, spiegano dalla società di analisti indipendenti Consultique, prendono in considerazione il capitale netto che è poi il primo a rispondere delle eventuali perdite sia con le nuove regole che con le precedenti. Le azioni non sono necessariamente titoli ‘a rischio’ perchè dipende appunto dalla situazione della banca ma in alcuni casi sono illiquide, ovvero non scambiabili facilmente sul mercato come in Borsa e sono state vendute dalla rete delle filiali alla clientela retail magari in cambio di agevolazioni su finanziamenti, mutui o costi commissioni. Scorrendo la lista ai primi due posti vi sono la Popolare Vicenza e la Veneto Banca che possiedono un patrimonio rispettivamente di 3,7 e 2,9 miliardi di euro ma che vedranno, secondo gli analisti, presumibilmente una riduzione del valore delle azioni nel momento della prossima quotazione in Borsa da alcuni stimata fino all’85%. Da notare che i due hanno anche rispettivamente 1,2 miliardi e 440 milioni di bond subordinati. E va considerato che i titoli delle due banche, come si è già visto, sono stati soggetti a pesanti revisioni del loro valore come ad esempio alla Popolare Vicenza dove le azioni sono state riviste da 62 a 48 euro per adeguarle ai pesanti interventi sul bilancio con l’emersione dei crediti deteriorati. Insomma una severa correzione che investirà gli azionisti e che però, secondo Consultique, non arriva senza avvisaglie. Ancora la Vicenza vedeva ‘prezzate’ le sue azioni a 1,5 rispetto al patrimonio netto a fronte di un rapporto a 1 o sotto questa soglia, delle altre principali banche italiane. Valori quindi elevati con l’aggravante che tali azioni non potevano essere scambiate sul mercato. Subito dopo le due venete vi è la Popolare di Bari con 1,3 miliardi, istituto cresciuto molto negli ultimi anni grazie alle acquisizioni ma su cui non stati rilevate anomalie particolari. Più staccata arriva la Cassa Risparmio Asti con 771 milioni e la Banca Sella con 617 milioni seguita dalla Cassa risparmio di Bolzano con 504 milioni. Chiude la lista la Banca di credito Popolare con 231 milioni.

Banche, si conferma la debolezza del sistema creditizio

Si conferma così, ove ce ne fosse ancora bisogno, l’estrema debolezza del sistema bancario italiano. Per carità, non bisogna generalizzare. Sta di fatto, però, che dopo la vicenda del salvataggio delle quattro banche commissariate (CariFerrara, CariChieti, Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria), lo scandalo delle obbligazione e dei titoli tossici rifilati ai risparmiatori, il suicidio del pensionato di Civitavecchia che ha perso 100 mila euro investiti in obbligazioni della Banca Popolare dell’Etruria, stanno venendo alla luce non poche anomalie di sistema nel circuito creditizio. A rendere il quadro ancor più confuso e maleodorante c’è poi questo rivoltante gioco allo scaricabarile cui stiamo assistendo ormai da giorni. Aveva cominciato il governo assumendosi l’onere del salvataggio delle banche in difficoltà e sull’orlo del fallimento, senza dire che quell’onere sarebbe poi ricaduto sulle tasche dei risparmiatori. Poi ci si è messa la Banca d’Italia preoccupata di allontanare da via Nazionale il sospetto del mancato controllo. Per il nostro Istituto di vigilanza, insomma, le colpe del disastro andavano equamente distribuite tra i direttori e i funzionari delle filiali, e la Commissione Ue che non ha concesso all’Italia di utilizzare altri strumenti per evitare il crack, come il fondo interbancario di garanzia sui depositi. Da Bruxelles hanno replicato che erano state offerte soluzioni adeguate e non penalizzanti per gli investitori, soluzioni che il governo italiano ha rifiutato. Come siano andate effettivamente le cose, probabilmente , non lo sapremo mai. Una cosa comunque è certa: così non si può andare avanti. Nè con lo scarico delle responsabilità né con una Europa che eccede nella smania regolamentare. Ed eccoci adesso alle prese con un rischio ancor più grande: quei 16 miliardi di euro di azioni che ballano nella più assoluta incertezza.

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