Banca Etruria, parla un ex membro del Cda: “Volevano che firmassimo tutto”
Emergono altri particolari, non meno inquietanti, sulla gestione fin troppo allegra, soprattutto per gli amici degli amici, della Banca Etruria. A parlare, questa volta è un ex membro del Cda, un imprenditore che tra il 2007 e il 2009, rivestì quell’incarico e che si dimise proprio per divergenze sui metodi usati nell’Istituto. “Il 23 ottobre 2009, tre giorni prima dell’assemblea dei soci di Banca Etruria, andai in Banca d’Italia e volli verbalizzare tutto quanto avevo visto sui comportamenti disinvolti di chi guidava la Banca. Poi tornai ad Arezzo e pubblicai a pagamento sui giornali locali una lettera di spiegazioni alla città”. Rossano Soldini, in una intervista a Repubblica, spiega come nelle riunioni della Banca tutto fosse già deciso: “pensavo di poter dare un contributo con la mia esperienza di imprenditore, invece ero solo un passacarte. Io e la gran parte degli altri consiglieri di amministrazione. Comandava il comitato di presidenza”. “Ci portavano il verbale della seduta precedente, sessanta pagine di documenti, e dopo cinque minuti pretendevano di metterlo ai voti. Non sapevamo cosa deliberavano, non ci permettevano di capire. Chiedevi informazioni, non te le davano. Facevi domande, non ti rispondevano. Conduzione non lineare. Cominciai a litigare col segretario del cda e da allora litigai anche con altri. È no, così non poteva andare avanti”. Soldini torna anche sulla questione degli affidamenti di credito per 185 milioni che si erano auto concessi i membri del cda: “non mi sembrò una cosa corretta. Quando entrai nel cda, affidamenti ne avevo anch’io, ma mi guardai bene dal chiederne altri, semmai ridussi quelli che avevo. E mi sarebbe sembrato logico che tutti si fossero comportati allo stesso modo. Non era così”.