L’ omicidio della madre di Ancona accusa il clima etico in cui crescono i ragazzi

9 Nov 2015 18:31 - di Carlo Ciccioli

Ad apprendere la notizia dell’omicidio di una mamma e del tentato (speriamo) omicidio di un padre da parte del fidanzatino, con la complicità della figlia sedicenne, si ha la sensazione di un gesto raccapricciante da parte di due giovani perversi. È certamente così, ma la vicenda, che ovviamente va approfondita in tutte le sue sfaccettature, ha anche, nella sua tragicità , una interpretazione più simbolica e generalizzata: le condotte dei nuovi adolescenti. Va detto anzitutto che i ragazzi non hanno solo storia propria, sono figli dei propri genitori non solo in senso biologico, ma anche emotivo, psicologo, comportamentale, profondamente influenzati dai loro sentire, dal loro agire e dal loro pensare. Poi ovviamente incidono l’ambiente che frequentano, i loro pari, gli incontri che accidentalmente hanno, le circostanze imprevedibili. Ma soprattutto il clima interno in cui crescono. È accaduto qualcosa negli ultimi anni che ha modificato profondamente il contenuto emotivo dei nostri giovani.

Fino a qualche decennio fa i genitori, padri e madri, educavano i figli con una serie di regole, una visione etica ed un progetto di vita. Questo accadeva indipendentemente dal ceto sociale, fossero ricchi, borghesi, operai o contadini, e i figli venivano formati a quella cultura e allo loro storia. C’era, a volte magari abnorme, una logica certa. Se si violavano tali norme, al di là della ribellione o malgrado la ribellione, c’era il senso di colpa. Veniva insegnata la tolleranza alla frustrazione (i desideri spesso non venivano esauditi) e al differimento (non si poteva avere tutto subito, bisognava aspettare).

Oggi la cultura “corretta” sostiene invece che i figli devono essere felici, comunque, punto e basta. Padri e madri fanno a gara (anche di tra loro) ad esaudire, anzi ad anticipare, i desideri dei loro ragazzi, considerano un proprio fallimento non poterlo fare, non propongono un progetto di vita, ovvio, da negoziare saggiamente, non veicolano valori vincolanti. Quasi tutto è accettabile, si può fare! Questo è drammatico: alle prese con la realtà, con la quotidianità, i ragazzi crollano, non reggono, impazziscono di fronte ai no, agli insuccessi, ai rinvii. Al senso di colpa che veniva instillato, talvolta esageratamente, per non essere “in regola”, si è sostituito il senso di vergogna. Se non si è belli o il proprio corpo non è come si vorrebbe, si va in palestra o precocemente dal chirurgo plastico a modificarsi il fisico, si fanno diete insopportabili, si deve essere tutti abbigliati con le griffe di tendenza se no si è out, si devono dire cose volgari o fare cose raccapriccianti per dimostrare di esistere, reagire brutalmente in qualsiasi situazione per avere ruolo. Se non si è competitivi e non si ha successo si va in depressione e magari si cerca lo sballo nelle sostanze. Oppure ci si rifugia nel mondo virtuale della rete, dove si vive una vita finta, anche lì drammatizzata, uscendo dai contatti reali e dallo sforzo di relazioni con persone in carne ed ossa, che è molto più complicato. Insomma si è fragilissimi di fronte al mondo. E si reagisce in modo terribile, colpendo, violentando, distruggendo, anche uccidendo. Non esistono più doveri (una volta anche esagerati) ma solo diritti (talvolta abusivi). Non si accettano rimproveri, divieti, obblighi: tutto diventa insopportabile. Questa è la radice del male, da correggere rapidamente. Per fortuna non è tutto così ed esistono anche molti spazi di speranza: il bene anche c’è, anche se fa scarsa notizia. Carlo Ciccioli – medico psichiatra  (direttore del Dipartimento delle dipendenze patologiche di Ancona)

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