Loda il partner «dell’altro sesso»: Melegatti “a processo” per omofobia
Incidente comunicativo per Melegatti, che finisce sotto il fuoco incrociato dei social network con l’accusa di omofobia. Sull’account Twitter dell’azienda è stato pubblicata una foto in cui si vedevano una mano di un uomo e una di una donna spuntare da sotto un piumone con un cornetto in mano, pronto per essere tuffato nelle tazze preparate sul letto. A scatenare il popolo dei processi da tastiera, però, è stata la frase che accompagnava l’immagine: «Ama il tuo prossimo come te stesso, basta che sia figo e dell’altro sesso».
Sulla Melegatti il fuoco incrociato dei social
Il riferimento all’eterosessualità non solo non è passato inosservato, ma ha provocato la solita cascata di insulti, ironie, accuse e promesse di boicottaggio. Così il marchio è balzato in poco tempo al vertice degli argomenti più discussi su Twitter, nonostante – come ha fatto notare qualcuno – la frase incriminata somigliasse più a una rima da scuole medie che a un insulto omofobo. Alla Melegatti, dunque, è successo più o meno quello che era successo negli ormai famigerati casi Barilla e Dolce&Gabbana. E proprio come allora, anche in questo caso l’azienda è dovuta correre ai ripari facendo retromarcia, per altro con maggiore tempestività rispetto ai precedenti: il post è stato cancellato dopo qualche ora e sul profilo è comparso un comunicato che spiegava che «con riferimento al post di questa mattina, Melegatti S.p.A. chiarisce che la gestione della comunicazione sui social è affidata a un’agenzia esterna, che ha pubblicato senza autorizzazione da parte dell’Azienda. Melegatti S.p.A. si dissocia dall’operato di tale agenzia che ovviamente è stata sollevata dall’incarico e si scusa formalmente con chiunque si sia sentito offeso dal contenuto. Da 121 anni – era la conclusione della nota – Melegatti è per tutti».
Per l’Arcigay le scuse non bastano
La pubblica ammenda, però, non è servita a chiudere il caso: l’Arcigay l’ha giudicata insufficiente e ha continuato a chiedere alla Melegatti atti di contrizione e autoflagellazione, sospettando «vere e proprie strategie di comunicazione, non del tutto causali». E poco importa che, dal punto di vista della tecnica della comunicazione, in molti abbiano giudicato l’affaire un disastro, sugellato da scuse peggiori della gaffe. Per l’Arcigay anche se «le scuse sono importanti», non bastano perché «occorre liberare il campo da qualsiasi ambiguità». Come? Con una sorta di “verifica di conformità” cui si dovrebbe sottoporre l’ad dell’azienda: «Gli chiediamo di incontrarci e di verificare assieme se l’inclusività che ci spiegano far parte della tradizione della storica azienda si riflette tanto nei linguaggi e nelle rappresentazioni quanto delle politiche lavorative e nelle azioni di responsabilità sociale». «L’omofobia non è solo un “incidente comunicativo”, anzi quell’incidente è rivelatore di una cultura che lede la libertà e spesso perfino la sicurezza di tante persone. Il vero passo avanti lo facciamo se anche Melegatti decide di fare concretamente la sua parte nella lotta contro le discriminazioni», ha intimato l’Arcigay, la cui pretesa di ingerenza nelle scelte delle aziende – e non solo – appare come il peggior lascito che un social manager pasticcione possa fare a chicchessia.