Lo Stato “restituisce” un milione a una banda di zingari, causa prescrizione
Può succcedere l’inverosimile nei meandri burocratici della giustizia, anche che venga restituito un milione di euro già sequestrato a una banda di sinti condannati per associazione a delinquere. Ci mancano le scuse agli zingari e l’assurdo è compiuto. È accaduto ad Asti e solo perché i meccanismi dei processi si sono inceppati in rivoli e in ritardi che hano portato dritto dritto alla prescrizione. Siamo inorriditi da tanta malagiustizia. Alla banda di sinti hanno restituito conti correnti bancari e postali, polizze assicurative, terreni, gioielli, camper di lusso e auto sportive. Denaro e beni che – come leggiamo in un ricostruzione dettagliata su La Stampa – erano stati sequestrati nel marzo 2006 agli zingari professionisti di furti che ora sono tornati ai “legittimi” proprietari a causa della prescrizione. Nei giorni scorsi il giudice Federico Belli ha firmato il decreto: il processo per ricettazione non è mai giunto a sentenza.
Il “tesori” degli zingari: furti per oltre un milione
Nel 2006 la banda di zingari era da tempo tenuta sotto osservazione da parte dei carabinieri che avevano pedinato per mesi con microspie e gps le loro scorribande dall’Astigiano: facevano di tutti, dalle abitazioni violate forzando porte e finestre o con i metodi più subdoli, raggirando gli anziani proprietari con mille scuse. Il bottino col tempo è dioventato un vero e proprio tesoro: vi finivano contanti e oggetti preziosi, ma anche forme di Parmigiano trovate in frigo. Accadde che il gip di Asti Aldo Tirone, applicando una legge speciale del 1992 avesse approvato le richieste del pm Luciano Tarditi di sottoporre a sequestro preventivo i beni dei presunti ricettatori e dei loro familiari. Ma poi il fascicolo della maxi inchiesta dei carabinieri si è disperso in decine di rivoli, letteralmente spezzettato dall’astuzia di un pool di avvocati specializzati da anni nella difesa di sinti e zingari piemontesi. All’udienza preliminare nell’autunno 2007 il giudice Cesare Proto, ora in Cassazione, accogliendo le tesi della difesa aveva suddiviso l’inchiesta: il processo per l’accusa di associazione per delinquere era stato affidato al tribunale di Asti, i casi singoli di furto erano stati spediti ad una miriade di uffici giudiziari competenti per territorio e la ricettazione era stata rimandata al pm Tarditi per la «citazione diretta» come previsto per i reati precedentemente gestiti dalle vecchie preture. si legge su La Stampa.
Processo con beffa finale: ecco come è andata
«Il guaio è che i sequestri erano basati sull’accusa di ricettazione, l’unico tra i reati contestati per i quali è prevista l’applicazione della norma su sequestri e confische. Se il processo per associazione per delinquere è giunto nel 2010 a pesanti condanne in primo grado (oltre 25 anni complessivi per i 12 imputati, con pene che arrivavano fino 5 anni di reclusione), esito diverso hanno avuto le altre accuse. Dei furti non si sa più nulla, sparpagliati tra una decina di tribunali di città della pianura Padana. Sulla ricettazione i movimenti del fascicolo sono incerti». Pare che il faldone abbia sonnecchiato per un po’ di anni sulla scrivania del pm, che poi ha proceduto alla citazione diretta davanti al giudice onorario Massimo Martinelli. Il quale è stato sommerso di eccezioni formali da parte dei difensori dei circa 30 imputati delle famiglie di zingari, trovandosi costretto a fissare numerose udienze solo per dirimere gli aspetti procedurali. Così si è arrivati al 2015, quando Martinelli ha dovuto prosciogliere tutti per «intervenuta prescrizione». Proprio quanto volevano gli avvocati, che avevano cercato in tutti i modi di far perdere tempo». Resta la beffa finale: questa banda di ladri professionisti ora si riappropriano di soldi, gioielli e macchinoni. Gli avvocati Ferruccio Rattazzi, Davide Gatti e Marco Calosso hanno sollecitato un «incidente di esecuzione» davanti ad un altro giudice, Federico Belli. Il quale, lette le carte, ha convenuto sul fatto che gli ex imputati prescritti avessero ragione. Ha dissequestrato tutto. Con un’ulteriore beffa: le spese del deposito dove sono stati custoditi caravan e auto sono a carico del Ministero della Giustizia…