La storia del Palazzo della Zecca, la nostra identità venduta ai cinesi

25 Nov 2015 12:00 - di Silvano Moffa

Per lo storico dell’urbanistica, Giuseppe Stroppa, era “l’ultimo grande monumento allo Stato unitario”. Un colosso monumentale, lungo 150 metri. Una facciata imponente, stile liberty, con quel gusto architettonico tutto francese, tipico dell’epoca umbertina. Fino al 2010, ospitava il Poligrafico di Stato. Nel cuore di Roma, in Piazza Verdi. Nelle sale di quell’edificio imponente è transitata una fetta importante della storia della lira, la nostra moneta familiare soppiantata dall’euro. E’ lì, nella Zecca, che si stampavano i nostri soldi. Da quella tipografia venivano fuori le antiche banconote. E noi, italiani, ci sentivamo quasi rassicurati. Al sicuro dall’inflazione, dalle oscillazioni , dal voluttuoso incedere delle speculazioni finanziarie. Se qualcosa non andava nel verso giusto, se l’economia viaggiava al ribasso e qualche bolla, in giro per il mondo, sconvolgeva la nostra tranquillità e faceva saltare consolidati equilibri, c’era sempre la Zecca che ci lasciava uno scampolo di speranza. Quel palazzo in piazza Verdi lo inaugurò Benito Mussolini nel 1928. E si chiamò , all’inizio, Regia Officina Carta e Valori. Suggestivo il richiamo all’Officina, segno evidente di considerazione e rispetto per il valore del lavoro, dal cui frutto deriva il guadagno. Un omaggio alla moneta intesa come elemento di scambio su basi produttive. Il senso della ricchezza che nasce in officina, appunto, nel cantiere, dalla manualità e dal sacrificio dell’uomo. Da allora, quante cose sono cambiate. Ed ora, quel palazzo, con il suo carico di storia, si trasforma in un hotel extralusso, in un mega albergo della catena cinese di proprietà della Rosewood, società controllata da New World China Land, holding quotata alla Borsa di Hong Kong. In quel luogo dotato a modo suo di una certa sacralità, dove c’era la Zecca di Stato, sorgeranno 200 camere, un centro congressi, ristoranti, piscina, spa, oltre a 50 residenze private e uffici gestiti dallo stesso operatore alberghiero. Costo dell’operazione per la ristrutturazione: 150 milioni. Un affarone. Anche, a quanto pare , per la Cassa Depositi e Prestiti e il gruppo Fratini, titolari del complesso immobiliare. Scrivono alcuni giornali: i cinesi conquistano Roma. Già, è proprio così. Ma la verità è che i cinesi Roma l’hanno conquistata da un pezzo. Da decenni ormai si sono installati in antichi quartieri, come l’Esquilino, comprando negozi, officine, market, chincaglierie varie. Di lì hanno, piano piano, allungato mani e interessi fin nel cuore della Capitale. La novità è che adesso sbarcano con valigie imbottite di denaro, loro che marciano in Asia a ritmi forsennati di crescita, per fare shopping alla grande in ogni parte d’Italia. A Roma trattano con Bulgari per acquistare la vecchia sede dell’Inps. A Milano sborsano 345 milioni  per la proprietà dell’Unicredit di Piazza Cardusio. Un elenco destinato ad allungarsi. Segno dei tempi. Di una “colonizzazione” progressiva, asfissiante, sul piano immobiliare e commerciale. Quella della Zecca, però, lasciatecelo dire, assume un significato del tutto particolare. Un valore che va al di là del dato puramente finanziario dell’operazione. E’ un altro pezzo della nostra identità, della nostra storia, della nostra indole  di popolo laborioso e risparmiatore, che viene ferito nella sua essenza più profonda. Nostalgia? Tristezza? Chissà. Ma è difficile sorridere e far finta di nulla.

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