Ballarò e il niqab che fa paura. Quando lo scoop fa disinformazione
L’informazione in Italia dopo gli attacchi terroristici a Parigi non è stata priva di cadute di stile. E non si parla qui solo delle numerose bufale che sono circolate, delle foto attribuite ai kamikaze e risultate poi non veritiere (falsa quella di Hasna, la donna saltata in aria durante il blitz a Saint Denis, nella vasca da bagno), dei titoli di dubbio gusto (come quello di Libero) e degli annunci sensazionalistici. Anche i talk show hanno dato una mano a spettacolarizzare e semplificare, prediligendo come sempre la logica del tifo da stadio per questa o quell’altra posizione con punte di vera disinformazione. E’ il caso dell’ultima puntata di Ballarò, dove è stato confezionato un servizio in cui un’attrice, vestita con un inquietante niqab nero (una specie di burqa che però lascia scoperti almeno occhi e naso) se ne andava a zonzo per Roma seminando una comprensibile inquietudine. Perché realizzare un servizio di questo tipo? Per testare le reazioni della gente? E c’era bisogno di questa farsa per dimostrare che i romani sono allarmati? Nel servizio si vede una signora anzianache, vedendo la donna col niqab, segnala la cosa alla polizia con il suo cellulare; ad un mercato rionale gli esercenti osservano che si tratta di una figura che incute timore e tiene lontani i clienti; c’è chi ipotizza che si tratti di una possibile terrorista che viene a visionare i luoghi dove compiere attentati; sull’autobus la gente, alla vista della finta musulmana, preferisce scendere; un taxi quasi si rifiuta di portare la finta islamica fino ai Musei Vaticani. Ma il messaggio che Massimo Giannini voleva dare qual era? Non certo documentare la paura della Capitale (figurarsi che scoop!) ma far passare l’idea che i romani sono un po’ intolleranti e un po’ razzisti. Sorvolando sul fatto che la legge italiana vieta di andarsene in giro a volto coperto. Un servizio che mescola la fiction con il giornalismo e che nulla aggiunge a ciò che già si sapeva (la psicosi che imperversa nelle grandi città dopo il 13 novembre) e che scambia l’islamofobia (condannabile) con la preoccupazione (pienamente legittima e giustificata).