Tarchi: le scissioni non portano frutti, meglio essere dissidenti interni

2 Ott 2015 10:40 - di Lisa Turri

Uscire dal partito e sbattere la porta? E’ la strada migliore per avviarsi all’inconsistenza politica. Per scomparire di scena. Per diventare ininfluente. Al di là delle ragioni che hanno condotto alla scelta dei fuoriusciti e al di là della classica geografia politica definita dalla destra e dalla sinistra. Il meccanismo del transfuga non porta fortuna. In un servizio sulla Stampa vengono elencati casi illustri: Gianfranco Fini a destra, Pippo Civati (che ha fallito con la sua campagna referendaria, prima iniziativa del suo movimento Possibile) e Stefano Fassina a sinistra. E va detto che se per l’ex leader di An Berlusconi ha dovuto scatenare l’artiglieria mediatica, per i dissidenti usciti dal Pd non ce n’è stato neanche bisogno. Commenta il politologo Marco Tarchi: “Il nostro sistema partitico è strutturato per non lasciare spazio agli scissionisti, se arriva una forza nuova che sa cavalcare un’onda, come lo è stato il M5S, gli spazi ci sono. Ma per chi esce da un partito e ne richiama le beghe interne, è difficile conquistare terreno. Meglio l’opposizione interna”. Gli esempi recenti appunto non mancano: Flavio Tosi che litiga con Salvini e viene espulso, Raffaele Fitto che abbandona Forza Italia. “E vedrete – profetizza Tarchi – succederà così anche per il Ncd di Alfano”. Tra l’altro la nuova legge elettorale, fa notare Roberto D’Alimonte, è studiata per scoraggiare chi vuole andare da solo: “Eliminando le coalizioni – afferma – si toglie ai piccoli il potere di contrattazione. E poi, a differenza di quanto avviene per i sindaci, tra il primo e il secondo turno sono vietati gli apparentamenti. A chi conviene andare da solo?”.

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