Spunta un’altra verità: un immigrato su tre si rifiuta di dare persino il nome

10 Set 2015 13:01 - di Martino Della Costa
migranti

No all’identificazione: gli immigrati arrivati in Italia possono rifiutare le procedure di registrazione. E allora, lo sbarco e poi? E poi un migrante su tre, una volta approdato a casa nostra, dice no alle pratiche di riconoscimento, e con le norme al momento a disposizione, se non vuole sottoporsi al fotosegnalamento per laccertamento delle generalità, è tecnicamente impossibile costringerlo. A sostenerlo, destando – inutile dirlo – un certo sconcerto, è Daniela Stradiotto, direttore del servizio di polizia scientifica che, riferendo alla commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema d’accoglienza degli immigrati, ha anche auspicato «nuovi strumenti normativi che ci consentano di trattenere il migrante almeno fino a 72 ore, invece delle attuali 12, in modo da provare a forzare per ottenere l’identificazione».

I no all’identificazione

I dati forniti dalla Stradiotto alla commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema d’accoglienza degli immigrati, incentrati sulla questione dell’identificazione e registrazione dei profughi approdati in Italia sono a dir poco inquietanti: su 122.000 arrivi registrati finora nel 2015, i fotosegnalamenti sono stati 81.000, pari al 66% del totale, mentre 41.000 dei migranti sbarcati sulle nostre coste hanno detto no alla procedura, avendo dalla loro un inaccettabile diritto al diniego. Dunque, una considerevole parte degli eritrei, dei siriani e dei somali – sono soprattutto queste le nazionalità dei profughi che varcano i nostri confini chiedendo asilo e assistenza  – rifiutano di essere identificati. E, sempre dati alla mano, il dato non aiuta sul degli obblighi di legge deputati al controllo del territorio e che rischia di pregiudicare le operazioni mirate alla sicurezza delle nostre città, già semriamente compromesso da un flusso migratorio massiccio e ininterrotto, e ora – si apprende ≤– notevolemente complicato dal no (possibile) all’identificazione.

Le norme sulle “fotosegnalazioni”

«Venivamo accusati di esserci persi 60.000 stranieri – ha spiegato la Stradiotto – ma non è così. Dopo la Germania, l’Italia è il Paese che fa più fotosegnalamenti. Venissero pure i tedeschi a controllare come agiamo, ma adesso non ne parlano più perché hanno anche loro lo stesso problema». La direttrice della Polizia scientifica ha poi fatto sapere che «gli organici delle forze dell’ordine destinati a queste procedure sono adeguati. Quattro operatori in un giorno, in condizioni favorevoli, riescono a fotosegnalare 100 persone. In situazioni di sbarchi ingenti e continui, non ci si ferma mai, si procede ad oltranza. È di otto minuti in media il tempo richiesto da questa procedura se il soggetto acconsente». Ma cosa succede se il profugo si rifiuta di essere identificato e fotosegnalato? «Se lo straniero si rifiuta di venire identificato – ha riferito sempre la Stradiotto – non è possibile procedere al fotosegnalamento. Anche se si dovesse forzare fisicamente la persona (ma la polizia italiana non spezza le ossa alle persone) a mettere la mano nello scanner per prendere le impronte, queste non sarebbero leggibili; così come le foto sono inutilizzabili se il soggetto non sta fermo e tiene gli occhi chiusi. C’è – ha concluso quindi il direttore del servizio di polizia scientifica – una sentenza della Corte costituzionale che autorizza le forze di polizia a costringere lo straniero a farsi identificare, ma ci sono purtroppo dei passaggi tecnici assolutamente impossibili per noi da superare». Fatta la legge, insomma, trovato l’inganno: il problema è che, come troppo spesso si è verificato ultimamente, l’inganno agito da migranti liberi di arrivare e circolare comodamente sul territorio nazionale, si è rivelato violento, se non fatale…

 

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