Della Loggia: “L’Italia è senza una destra. Manca il senso dello Stato”
“Sulla Destra italiana il ventennio berlusconiano ha agito come una droga. L’ha euforizzata con successi insperati, le ha fatto credere di essere sulla cresta dell’onda, che ormai il futuro era suo: per poi lasciarla stremata e a pezzi come appunto appare oggi. Ma in realtà la colpa di Berlusconi è stata quella dell’illusionista, nulla di più. In Italia, infatti, il problema di una Destra che non c’è, della sua inesistente identità politica, c’è da ben prima di lui: solo che è rimasto nascosto finora dall’assoluta egemonia della Democrazia cristiana prima, e poi da quella altrettanto assoluta del Cavaliere. Svanite entrambe, ora esso ritorna”, scrive Ernesto Galli della Loggia su “Il Corriere della Sera”.
Il problema è il conservatorismo degli italiani, negativo e basta
Nella sostanza il problema della Destra italiana, io credo, è il problema della difficoltà che incontrano nel nostro Paese un’antropologia e una cultura politica conservatrici, analoghe cioè a quelle che più o meno caratterizzano m Europa le Destre di governo. Non tragga in inganno l’apparenza. È vero infatti che in larga maggioranza la società italiana appare conservatrice. È vero che è diffidente delle novità, non ama i cambiamenti sostanziali, le svolte di alcun tipo; che è una società di antico e consolidato pessimismo, innestato su un fondo smaliziato fino al cinismo. Ma il suo — questo è il punto — è un conservatorismo nullista, solo negativo: inutilizzabile politicamente se non per bloccare i riformatori e i progressisti, per fermare la Sinistra. Serve magari a evitare i salti nel buio, come nel ’48, ma tutto finisce lì.
Un moderno conservatorismo politico è altra cosa. Innanzi tutto è liberale.
Cioè in economia è contro ogni strettoia corporativa o monopolistica a vantaggio di gruppi privilegiati e interessi protetti, senza per ciò essere sempre e comunque contro l’intervento pubblico. Ideologicamente, poi, esso dovrebbe essere interessato soprattutto a promuovere e difendere la diversità delle opinioni. Cercando altresì di essere culturalmente anticonformista e quindi simpatizzando con le minoranze e il loro punto di vista: sicché oggi, per esempio, diffiderà dello scientismo e dell’idolatria tecnologica imperanti, così come del pregiudizio egemone secondo cui ogni desiderio soggettivo può diventare un diritto. E si asterrà, naturalmente, dall’omaggio universale a tutte le idee, le mode e le «diversità» politicamente corrette. Proprio l’anticonformismo culturale e la simpatia per le posizioni di minoranza spingono un liberalismo così inteso a stare in guardia verso l’attuale modernità trionfatrice e travolgente dovunque: e proprio per questo a orientarsi in senso conservatore. Il che oggi vuoi dire mostrarsi attenti alla tradizione, cauti nel disfarsene sempre e comunque secondo quanto invece comandano i tempi. Mostrarsi attenti, per esempio, a non indulgere a un certo materialismo e ateismo di maniera, e invece a considerare cosa preziosa il retaggio giudaico-cristiano iscritto nei nostri costumi e nelle nostre istituzioni; attenti, ancora, a non stravolgere la scuola, la trasmissione culturale — come invece accade da decenni — sotto una valanga di innovazioni dei programmi una più sciocca e inutile dell’ altra, di rilassatezza disciplinare e di democraticismi distruttivi.
Avere un orientamento conservatore significa custodire il passato
In Italia una vera cultura politica conservatrice non può che essere soprattutto una cultura orientata allo Stato: allo Stato come garante da un lato dell’interesse generale (che alla fine è sempre l’interesse dei più deboli), e dall’altro dell’obbligo dell’adempimento da parte di tutti dei doveri verso questo interesse: tanto per cominciare pagando le tasse. Tutela dell’interesse generale significa pure cercare di assicurare la snellezza e la chiarezza delle normative, l’imparzialità delle procedure amministrative, le competenze delle burocrazie, premiare il merito anziché i raccomandati, non lasciare la porta aperta agli sperperi o al furto del pubblico denaro. E significa da ultimo prendersi cura della macchina dello Stato, delle sue articolazioni al centro e specialmente alla periferia, mantenendone le capacità di controllo sul territorio attraverso le prefetture, le sedi della Banca d’Italia, le intendenze di Finanza, le sovrinten denze alla tutela dei Beni culturali, eccetera. Dal momento che in Italia, bisogna convincersene, la rinuncia a questa funzione dello Stato non innesca quasi mai una benefica esplosione degli anima! spirits della società civile, bensì quasi sempre quella dei porci comodi della medesima, sotto l’egida delle oligarchie locali quando non della malavita organizzata. Tutto questo corrisponde a quella cosa che si chiama autorità e sovranità dello Stato, le quali a una qualunque Destra dovrebbero forse stare a cuore; e che — c’è bisogno di dirlo? — fanno tutt’uno con l’idea di sovranità nazionale. Anche questa un’idea oggi abbastanza desueta ma che, sentendo l’aria che tira in Europa, è stata forse messa da parte un po’ troppo affrettatamente. Lascio giudicare ai lettori se la Destra italiana si sia mostrata capace di essere conservatrice nel modo che si è fin qui detto. A me pare di no, assolutamente di no. Per lo più infatti essa appare tuttora la pedissequa rappresentante della pancia di un elettorato confusamente prepolitico, custode di interessi settoriali, modernista o reazionario secondo le convenienze. Si può capire la Lega, la quale punta al tanto peggio tanto meglio e non si considera certo forza di governo.