«Fatemi uno sgambetto», l’ironia dei migranti: la reporter ha fatto la nostra fortuna

21 Set 2015 12:21 - di Priscilla Del Ninno

«Sgambetto cercasi»: è la frase virale che – ironicamente – fa il verso al clamore mediatico riservato alla ormai celebre sequenza che immortala l’operatrice tv ungherese, Petra Laszlo, mentre con un intervento a gamba tesa – letteralmente – tenta di bloccare la fuga dalla polizia, al confine con la Serbia, del profugo siriano, Abdul Mohsen.

Sgambetto al profugo: ironia (e polemica) sul web

Un profugo divenuto da quel momento una vera e propria celebrità, a cui quello sgambetto ha garantito finora notorietà e sostegno immediati: Abdul Mohsen e suo figlio, infatti, sono stati prontamente ospitati a Getafe, vicino Madrid; a loro è stata offerta una casa, una scuola per il bambino e un lavoro per il padre. Un happy end nato – o quanto meno accelarato – dal fallo da cartellino giallo della giornalista ungherese che, intanto, ha pagato la scorrettezza e la crudeltà dell’atto con il licenziamento immediato. Una storia, quella dello sgambetto al profugo, tra il drammatico e l’assurdo e che molti siriani in esodo o in cerca di una via di fuga dal Paese in guerra, rilanciano ancora in questi giorni, postando tra il serio e il faceto, tra speranze e battute, l’augurio di trovare sul loro cammino «qualcuno che mi faccia inciampare». Il video amatoriale della loro caduta ha fatto il giro del mondo, suscitando non solo l’indignazione pubblica ma anche l’interesse da parte di molti per le sorti dell’uomo e di suo figlio. Per questo, «sgambetto cercasi» è stato l’annuncio ironico apparso sulla bacheca Facebook di molti siriani più clikkato. «Datemi una giornalista maleducata e arrivo in Spagna come un eroe», hanno postato molti altri sui loro profili.

La campagna buonista

Un’ironia vibrante e una polemica accesa, quelle intestate al caso del profugo siriano su cui media di tutto il mondo hanno saputo speculare ad arte, esattamente come è stato provveduto a fare su tutti gli altri drammi dell’immigrazione, prontamente immortalati dai reporter in trincea in immagini efficaci di bambini e donne alla frontiera. Come non riconoscere, allora, che la foto del piccolo siriano Aylan, morto durante un naufragio, con il corpicino privo di vita riverso sulla spiaggia di turca di Bodrum, non abbia contribuito a mettere veementemente sotto gli occhi dei leader europei la tragedia dei popoli in fuga, un dramma umanitario enorme costellato di esuli disperati che hanno perso la vita a migliaia nel mediterraneo, e rispetto al quale, fino al giorno prima, Bruxelles aveva voltato lo sguardo dall’altra parte?  Come disconoscere che la campagna a colpi di istantanee e video strappati dagli inviati di tutto il mondo lungo la «rotta balcanica» miri alla persuasione globale, occulta e buonista? Come spiegare, insomma, la speculazione in corso sugli scatti che arrivano dalle frontiere prese d’assalto da centinaia di migliaia di immigrati, che raccontano un dolore innegabilmente straziante? Come giustificare, altrimenti, – solo per stare all’ultimo scoop – i fotogrammi già virali della bimba che va incontro alle armatissime forze dell’ordine a quattro zampe? Chi, di fronte a quelle immagini, potrebbe negare accoglienza a un bimbo indifeso, in marcia verso un possibile futuro?

 

 

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