Ecco la «faccia oscura dell’antimafia», tra scandali, fondi pubblici e boss
Non ci sono solo nomi come Libera, Fai, Addiopizzo o Agende rosse. Intorno all’impegno antimafia è cresciuta una galassia di sigle su cui ora si allunga un’ombra. Una «faccia oscura dell’antimafia» (la definizione è della giornalista Federica Angeli) che rischia di compromettere il lavoro che alcune associazioni svolgono da lustri e che il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, ha voluto ancora una volta denunciare nell’intervista al QN.
Intitolare un circolo a un eroe dell’antimafia significa ottenere aiuti pubblici e privati
Per creare un club antimafia basta un banale atto costitutivo con tanto di statuto e la richiesta di iscrizione nell’albo regionale delle associazioni di volontariato o anche, più semplicemente, all’anagrafe comunale delle associazioni. Il numero delle associazioni registrate in Italia si avvia a raggiungere la quota di 100mila (a gennaio erano 87mila), metà delle quali ha lo status di onius e può partecipare (previa iscrizione al registro dell’Agenzia delle entrate) al 5 per mille dell’Irpef. E sempre più cresco no quelle che si fregiano del nome dei martiri antimafia – da Borsellino a Falcone, da Libero Grassi a Peppino Impastato – che, in maniera non sempre trasparente, gestiscono risorse pubbliche (anche immobili sequestrati) e quote associative.
I conti? Escluse le fondazioni ‘storiche’, il resto non ha quasi mai pubblicato un bilancio on line.
Negli ultimi tempi, poi, personaggi considerati delle icone antimafia sono finiti nei guai. «Dispiace vedere come nascano paladini dell’antimafia sempre più spesso, salvo poi accorgersi che si tratta di persone che nella loro vita per combattere Cosa Nostra hanno fatto poco», ha detto Tina Montinaro, vedova di Antonino, uno dei poliziotti uccisi nella strage di Capaci. Il caso più clamoroso è quello di Roberto Heig, presidente di Confcommercio Palermo e vicepresidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto ‘Falcone e Borsellino’. FU arrestato con l’accusa di estorsione, stesso reato contro cui diceva di battersi. Uno dei tanti, imbarazzanti, paradossi siciliani. Altra vicenda è quella di Antonello Montante, delegato di Confindustria per la legalità, accusato da tré pentiti di amicizie compromettenti coi mafiosi.