Il Giappone 70 anni dopo: i nostri giovani non si scuseranno mai più

14 Ago 2015 13:44 - di Antonio Pannullo
Il premier Shinzo Abe

Settant’anni fa, con la resa del Giappone, finiva la Seconda Guerra Mondiale. Dopo le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, l’impero giapponese decise di capitolare per risparmiare vite umane. Il 15 agosto 1045 l’imperatore Hirohito rivolse un discorso alla nazione, in cui tra l’altro disse: «Nonostante siano stati fatti i migliori tentativi – il valoroso combattimento delle forze navali e militari, la diligenza e assiduità dei Nostri servi dello Stato e il devoto servizio dei Nostri cento milioni di compatrioti – la situazione bellica non si è sviluppata a vantaggio del Giappone e il corso mondiale si è voltato contro i nostri interessi. Ancor di più, il nemico ha cominciato a sviluppare una nuova e molto più disastrosa bomba, il cui potere di distruzione è, realmente, incalcolabile e in grado di togliere molte vite innocenti. Se dovessimo continuare a combattere, non ne risulterebbe che un completo collasso e una cancellazione della nazione giapponese e si condurrebbe anche alla totale estinzione della civiltà umana». I combattimenti contro gli americani, i sovietici e i cinesi andarono comunque avanti qualche settimana ancora, e poi cessarono. Alla notizia della resa, sorprendente per un giapponese di quei tempi, si verificarono autentiche scene di disperazione, molti militari e civili si suicidarono, e vi fu un tentativo di colpo di Stato per continuare la guerra, guidato dal maggiore Hatanaka, che poi, fallito il golpe, si suicidò. Ora, settant’anni dopo quella tragedia, il premier giapponese Shinzo Abe ha espresso «profondo dolore» per le vittime della Seconda guerra mondiale e per i «danni incommensurabili e sofferenza» causati: è uno dei passaggi della Dichiarazione sui 70 anni dalla fine del conflitto, che menziona le scuse precedenti su «aggressione e passato coloniale» degli ex premier Murayama e Koizumi.

Il premier Abe: il Giappone ha più volte espresso il rimorso e il dolore

«Il Giappone – ha detto Abe leggendo la dichiarazione nel corso di una conferenza stampa – ha più volte espresso i sentimenti di profondo rimorso e di scuse sincere per le azioni fatte durante la guerra». Al fine di manifestare «questi sentimenti attraverso azioni concrete, abbiamo inciso nel nostro cuore le storie di sofferenza delle persone in Asia, come i nostri vicini: quelli dei Paesi del sudest asiatico, come Indonesia, Filippine e Taiwan, Repubblica di Corea e Cina, tra gli altri; e abbiamo costantemente dedicato noi stessi alla pace e alla prosperità della regione dopo la fine della guerra. Una posizione articolata dalle precedenti che resterà incrollabile nel futuro», ha assicurato Abe. Tuttavia, «non c’è dubbio che qualsiasi sforzo si possa fare, i dolori di coloro che hanno perso i loro familiari e i ricordi di sofferenza di coloro che hanno subito immense sofferenze dalla distruzione della guerra non saranno mai guariti», ha osservato ancora il premier. Abe ha mantenuto espressioni come “profondo rimorso”, “scuse sincere”, “aggressione” e “dominio coloniale”, citati a vario titolo dai predecessori Tomiichi Murayama e Junichiro Koizumi, rispettivamente nelle dichiarazioni sui 50 e i 60 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Però, ha sottolineato ancora il premier nipponico, che è il primo premier a essere nato dopo la fine della guerra, «le generazioni del dopoguerra ora superano l’80% della popolazione: non dobbiamo lasciare che i nostri figli, nipoti e altre generazioni a venire, che non hanno nulla a che vedere col conflitto siano predestinati a chiedere scusa». Il premier liberal-democratico ha rilevato che «noi giapponesi, attraverso le generazioni, dobbiamo esattamente affrontare la storia con la responsabilità di ereditare il passato, in tutta umiltà e trasmetterlo al futuro».

 

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