Sfregiato con l’acido, Martina resta in carcere: è ancora «pericolosa»

20 Lug 2015 15:21 - di Martino Della Costa

Martina Levato deve restare in carcere, anche se è incinta al nono mese di gravidanza. Lo ha stabilito la nona sezione penale del Tribunale di Milano, che lo scorso giugno ha condannato la bocconiana e il suo complice, il broker Alexander Boettcher, a 14 anni, respingendo la richiesta di arresti domiciliari avanzata dal difensore Daniele Barelli, e accogliendo, di contro, il parere «assolutamente contrario» alla scarcerazione del pm Marcello Musso. Un’istanza, quella della scarcerazione, respinta anche dal gup di Milano Roberto Arnaldi.

Martina Levato resta in carcere

Dunque, per i giudici che hanno confermato la necessità che la donna che dovrebbe partorie ad agosto – accusata di una serie di aggressioni con l’acido compiute assieme al suo compagno Alexander Boettcher – resti in cella, è seriamente concreto il pericolo di reiterazione dei reati. Non solo: per i togati milanesi la «condizione di gravidanza» che era «posta a fondamento» della richiesta di domiciliari avanzata dalla difesa di Martina Levato, «sussisteva già al momento della commissione del delitto», ossia del blitz contro il ventiduenne Pietro Barbini, sfigurato lo scorso 28 dicembre dopo essere stato attirato in una trappola. E ancora: il pm, nel parere «assolutamente contrario» depositato lo scorso 16 luglio (stesso giorno in cui era stata presentata l’istanza della difesa), ha segnalato, tra le altre cose, per il «no» alla scarcerazione, il «gravissimo pericolo di inquinamento probatorio». Secondo il pm, infatti, dato che sono in corso i procedimenti a carico di Levato, Boettcher e del presunto complice Andrea Magnani sugli altri casi di aggressione, «si deve essere certi» che la ragazza agli arresti domiciliari «cercherà di contattare» le persone che dovranno testimoniare, in particolare alcune sue ex amiche, «per fare loro cambiare o ammorbidire le dichiarazioni già rese». A riguardo, il pm ha richiamato anche alcune considerazioni del gip Giuseppe Gennari che nella sua ordinanza, emessa lo scorso aprile, spiegava che, a loro modo, Levato e Boettcher risultavano anche più pericolosi di «mafiosi» e «ndranghetisti».

I motivi del no alla scarcerazione

Dunque, che avrebbe dovuto essere un argomento a favore della detenuta milanese, la gravidanza, è stato intepretato dai giudici come un elemento se non addirittura alla base del rischio di reiterazione del reato con cui giustificare le esigenze cautelari, quanto meno non tale da giustificare una sua non compatibilità con la detenzione. Per il collegio, presieduto da Anna Introini, infatti, la «condizione di gravidanza» per la studentessa bocconiana «anzi ha rappresentato, secondo l’assunto dell’imputata, l’origine di quell’esigenza di “purificazione” che avrebbe motivato la condotta delittuosa». Come se già tutto ciò non bastasse, inoltre, per i giudici la giovane non ha mai mostrato «segni di resipiscenza tali da suggerire che ella abbia coscientemente rivisitato i gravi fatti in ordine ai quali è stata imputata e condannata». Nel loro provvedimento, dunque, i giudici evidenziano la «pericolosità sociale» di Martina Levato, la sua «personalità aggressiva e priva di remore», oltre ad un «accentuato pericolo di reiterazione criminosa». Per il collegio che ha detto no alla richiesta di domiciliari «presso l’abitazione dei genitori» della ragazza, infine, «non appaiono mutate le esigenze cautelari», anche perché il presunto complice Andrea Magnani nelle sue dichiarazioni «ha fatto esplicito riferimento all’esistenza di una lista di soggetti, di cui ha fornito anche i nomi, futuri obiettivi di ulteriori aggressioni da parte del Boettcher e della Levato». Ed è dunque «del tutto evidente», si legge nell’ordinanza, «l’attualità del pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa indole». In più, a corollario del tutto, secondo i giudici non sono «ad oggi emerse» complicanze «della gravidanza tali da far apparire inadeguate le cure e l’assistenza prestate» nel carcere milanese di San Vittore, dove la donna accusata di un crimine orribile, dovrà continuare a rimanere in regime di custodia cautelare.

 

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