Ma quale “primavera araba”, la Tunisia ora dichiara lo stato d’emergenza

4 Lug 2015 17:40 - di Giovanni Trotta
Forze speciali tunisine

Alla faccia della Primavera araba: la Tunisia dichiara lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale. Lo si apprende da una fonte della Presidenza della Repubblica tunisina. Il presidente e comandante in capo delle Forze armate, Beji Caid Essebsi, ha parlato alla nazione in tv alle ore 17 locali. In vigore dal 15 gennaio 2011 lo stato di emergenza era stato revocato il 6 marzo 2014. Una revoca, che non precludeva comunque la possibilità di un supporto militare delle forze di sicurezza se necessario, né la prosecuzione di operazioni militari specialmente nelle zone di confine. Inoltre sarà completata domenica la chiusura di tutte le 80 moschee a rischio radicalismo decisa dal governo tunisino. Lo ha annunciato l’incaricato di missione del ministero degli Affari religiosi, Slim Ben Cheikh, aggiungendo, a proposito delle proteste che hanno accompagnato l’applicazione di questa misura, che queste tensioni sono ingiustificate. Almeno 37 moschee su 80 risultano erano state già chiuse, secondo Najet Hammami, incaricato per la comunicazione del ministero degli Affari Religiosi tunisino. Questo venerdì in Tunisia, secondo gli esperti, si presentava come fortemente a rischio per quanto riguarda possibili attacchi terroristici. Il 4 luglio infatti corrisponde nel calendario musulmano al 17° giorno del mese santo del Ramadan, data nella quale si commemora una delle più famose battaglie condotte dal profeta Maometto contro i miscredenti, quella di Badr, nell’anno II dell’Egira.

La Tunisia chiude un gran numero di moschee a rischio

Nell’immaginario jihadista morire, armi in pugno in questa giornata, specie se uccidendo miscredenti, significa ottenere premi supplementari nell’aldilà. E la storia recente della Tunisia ce lo fa tristemente ricordare. Il 29 luglio 2013 i jihadisti uccidono in un imboscata nel momento rituale della rottura del digiuno, al calar del sole, 9 militari nei pressi del monte Chaambi, zona rifugio dei terroristi, non lontano dal confine algerino. L’anno seguente il 16 luglio terroristi della brigata Okba Ibn Naafa uccidono 14 soldati e ne feriscono altri 20 alla stessa ora e sempre nei pressi del Monte Chaambi, a due check point nell’area di Henchir. Sarà forse per scaramanzia, suggeriscono alcuni media locali maliziosamente che l’ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi abbia deciso di festeggiare il 4 luglio con due giorni di anticipo, con una cerimonia ad inviti per le autorità presso la propria sede diplomatica. E proprio in queste ore le forze di sicurezza tunisine hanno ucciso dopo un lungo inseguimento un ricercato per reati legati al contrabbando e al terrorismo di matrice islamica nei pressi di Ben Guerdane, sul confine tra Tunisia e Libia di Ras Jedir, spesso teatro di traffici illeciti e contrabbando. L’uomo era oggetto di numerosi mandati di cattura, rivelano fonti della sicurezza tunisine, e risulta essere implicato nel contrabbando di armi oltre ad essere membro di un gruppo di reclutatori di jihadisti per la Siria. Sequestrate nell’operazione armi, pistole e granate, ritrovate presso il suo domicilio. Infine, nelle ore in cui il distretto turistico di Monastir accusa un calo del 50 per cento delle presenze, Adel Almi, leader del partito salafita tunisino Zaytouna, afferma che i turisti, come quelli uccisi sulla spiaggia di Sousse, sono stati responsabili di quanto accade loro perchè sono peccatori e «spandono il male in tutto il Paese».

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