Micidiale flop di Renzi sul Tfr in busta paga: aderiscono solo 800 lavoratori
Un flop che più flop non si può. Dopo tanto strombazzare, l’appeal della liquidazione del Tfr (trattamento fine rapporto) in busta paga è risultato praticamente pari a zero: su un campione di un milione di lavoratori, la scelta – come riferito all’agenzia Ansa dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro – «è stata effettuata solo da 800 occupati, pari allo 0,08 per cento». A giudizio dei professionisti, si tratta di un dato che «conferma le indicazioni fornite il 30 maggio scorso», quando era stata fatta una prima rilevazione sull’adesione da parte dei dipendenti.
I dati smascherano l’ennesimo bluff del governo
Per quanto confermino dati già noti, i numeri forniti dalla Fondazione costituiscono un brutto colpo per il governo che sul Tfr in busta paga come misura in grado di rilanciare la domanda interna aveva scommesso tantissimo. In realtà, era solo l’ennesimo bluff targato Renzi-Padoan immediatamente smascherato dai lavoratori dipendenti. Un bluff ben confezionato. Ancora ronzano nell’orecchio i toni trionfalistici del Tesoro nel dare la notizia del raggiunto accordo tra Mef, ministero del Lavoro e Abi per il Tfr in busta paga. In quell’occasione, il ministero di via XX Settembre si preoccupò persino di rassicurare le imprese con meno di 50 dipendenti «che dovessero registrare problemi nei flussi finanziari necessari a far fronte al maggiore esborso derivante dall’erogazione mensile dell’importo altrimenti destinato al Tfr». In quel caso esse avrebbero potuto accedere a finanziamenti a tasso agevolato.
La Cgia di Mestre aveva previsto che la misura sul Tfr «non sarebbe decollata»
Che però la realtà fosse del tutto diversa da come le immaginava il governo lo aveva perfettamente anticipato la Cgia di Mestre. La confederazione artigiana mise in guardia da facili entusiasmi avvertendo sin dall’inizio che l’operazione rischiava di non decollare, dal momento che la legge prevedeva che l’anticipazione del Tfr avrebbe subito la tassazione ordinaria e non quella separata. Era quindi prevedibile che a un lavoratore dipendente, specie se non più giovanissimo, sarebbe convenuto percepire il Tfr al termine della carriera lavorativa, anziché chiederne l’anticipo. «Secondo i nostri calcoli – aveva spiegato in quell’occasione Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – rispetto all’erogazione della liquidazione al termine del rapporto di lavoro, chi ne chiederà l’anticipazione pagherà più tasse». Lo avevano capito tutti. Tranne Renzi e Padoan.