Commercio, si chiama Isds il “mostro” nascosto che spaventa l’Europa

23 Lug 2015 16:36 - di Redazione

L’accordo per il libero commercio. Un rabbocco da 120 miliardi di euro per l’economia europea e di 95 per quella americana, mezzo punto di Pil in più ed effetti benefici sull’occupazione per i fautori più ottimisti; un “cavallo di troia” che potrebbe consegnare le chiavi della sovranità del Vecchio continente alle multinazionali americane per i detrattori. Da quando nel 2013 Stati Uniti e Unione europea hanno iniziato a discutere il mega- trattato di libero scambio Ttip, gli animi si sono surriscaldati con la crescente percezione dei suoi potenziali effetti sulla vita di 800 milioni di cittadini. E se all’inizio si evocava una “invasione” di cibi Ogm o di carne agli ormoni, annidati fra le pieghe dei freddi testi sul commercio messi sul tavolo negoziale, grazie anche a materiale “trafugato” da Wikileaks, si sono poi scovati “mostri” più grandi. Il più brutto dei quali è parso la clausola Isds, che tutela gli investimenti all’estero. Paure e “dietrologie” hanno preso corpo per voce degli attivisti anti- Ttip. Ma se in alcuni Paesi come Germania e Austria il dibattito pubblico è acceso, in quasi tutti gli altri, Italia e Usa compresi, se ne parla poco e se ne sa praticamente nulla. Fortemente voluta dagli americani, l’Investor-State Dispute Settlement (Isds) era stata inserita nelle bozze iniziali del negoziato. La clausola fu concepita per i trattati dei Paesi sviluppati con quelli emergenti (la prima fu annessa a un trattato Gran Bretagna-Pakistan del 1958) per proteggere gli investitori da nazionalizzazioni, espropriazioni, intimidazioni. Oggi è presente in oltre 3.000 trattati nel mondo, molti firmati dall’Ue, e prevede che in caso di trattamento “discriminatorio”, l’azienda che investe possa bypassare la giustizia del Paese ospite e ricorrere, per ottenere un risarcimento, a una corte arbitrale. Le corti arbitrali sono di natura privata e i giudici – il primo scelto dall’azienda, il secondo dallo stato e il terzo dai primi due – sono avvocati che molte volte lavorano per studi legali di grandi imprese. E le loro udienze non sono pubbliche. Nei decenni, accusano i detrattori, molte compagnie hanno iniziato a interpretare in modo “estensivo” la norma, “abusandone” contro provvedimenti di pubblica utilità giudicati dannosi per i loro profitti, per di più dove la clausola non è necessaria, cioè in Paesi dotati di legislazioni democratiche e avanzate e potere giudiziario indipendente. I più ostili evocano un grimaldello capace di scardinare la democrazia e il diritto di Stati ed enti pubblici di legiferare a tutela di salute, ambiente, lavoro, il tutto a vantaggio delle “corp” del commercio. Per i fautori, invece, nessuna azienda può impedire a uno stato o a un Comune di legiferare – e nella maggioranza dei casi, si osserva, sono gli stati ad avere la meglio negli arbitrati -, ma dove sia stato violato il contratto essa ha pieno diritto a chiedere un risarcimento in denaro. Sull’onda di queste paure, il Parlamento europeo il 7 luglio in sessione plenaria ha approvato una risoluzione a maggioranza di due terzi che, mentre conferisce alla Commissione Ue pieno mandato a trattare il Ttip, fissa paletti e linee rosse che nella ratifica del trattato faranno la differenza fra sì e no finali. Il testo, frutto di un faticoso compromesso fra i blocchi politici, afferma che l’Isds come tale non può sussistere e che si deve individuare un “nuovo sistema”, che sia “soggetto ai principi democratici e trasparente”, l’arbitrato sia esercitato da “giudici professionisti, di nomina pubblica e indipendenti” in “udienze aperte al pubblico”. Che includa un meccanismo di appello, rispetti la legislazione di Ue e Stati membri, assicurando che interessi privati “non pregiudichino le finalità della politica sovrane”. Un nuovo sistema che ora la Commissione sta elaborando e che – sperano i negoziatori – disegni il futuro delle dispute stati-imprese per un mondo globalizzato in cui i trattati commerciali bi e multilaterali riempiono il vuoto del vecchio Wto. La palla è ora nel campo dell’Europa e i negoziatori Usa aspettano che la controparte metta sul tavolo una proposta alternativa. Ma il nodo è in assoluto quello più spinoso fra i tanti presenti nella intricatissima e enorme matassa di un negoziato che aspira ad essere l’architettura delle future relazioni economiche fra Europa e Stati Uniti a tutti i livelli.

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