Mafia Capitale, «Sembra di essere nella Chicago anni 30»: è crisi nel Pd

12 Giu 2015 7:41 - di Redazione

«Il Pd usato come un taxi, le cordate, il tumore delle correnti… Una Roma che somiglia alla Chicago Anni ’30». Su “Il Corriere della Sera” Walter Verini azzarda un paragone da brivido e rispolvera le bande che si accordavano per spartirsi il territorio. «E quando non ci riuscivano» ricorda l’ex braccio destro di Veltroni evocando Al Capone, «c’era la strage di San Valentino». Dopo gli arresti, nel Pd romano è l’ora dei veleni, delle vendette incrociate, dello scaricabarile tra correnti nemiche.

Mafia Capitale: nel Pd romano è “tutti contri tutti”

Perché, fino a un anno fa, i «dem» non si facevano scrupoli di andare a cena con Buzzi o accettare soldi da lui? Lionello Cosentino, ultimo segretario prima del commissariamento, si difende: «Io amico di Buzzi? Ci conosciamo da vent’anni, Sembra che tutti noi abbiamo avuto rapporti con la mafia, perché nessuno sapeva che Salvatore fosse diventato parte di una banda di ladri. Ma io non ho mai chiesto favori e non ho parenti assunti dalle coop». Qualcuno però i parenti li ha piazzati. Fabio Melilli, segretario del Lazio, chiese allo «spicciaproblemi» di Buzzi, Luca Odevaine, un aiuto per far lavorare la figlia: «Un errore, ma è stata solo una telefonata».

Tessere comprate, rom alle primarie: Mafia Capitale travolge il Pd

Tessere e voti comprati, iscritti fantasma, risse nei circoli, primarie taroccate con i rom in coda ai gazebo, volanti ai seggi per sospetti brogli… I vecchietti prelevati al centro anziani di Trastevere per votare per il renziano Tobia Zevi e persino i consiglieri che fanno le carte di identità agli elettori in cambio di un voto. E poi, in un crescendo wagneriano, i «dem» sorpresi a braccetto con Carminati e Buzzi, gli arresti, il mesto corredo di favori, pubblici o privati. «Nelle primarie per il Parlamento — denunciò Marianna Madia — ho visto vere associazioni a delinquere».

I renziani all’attacco: “Mafia Capitale colpa della vecchia guardia”

A sentire i renziani è tutta colpa della «grande famiglia» ex ds, i cui pilastri romani (Zingaretti. Bettini, Cosentino, Miccoli…) avrebbero «ucciso» il rinnovamento. «Ð Pd questi ultimi due anni si è occupato troppo di beghe interne, il che ci ha fatto male» è l’analisi di Lorenza Bonaccorsi. Ma il Pd nazionale non c’entra, si sgolano i dirigenti del nuovo corso. E addebitano il decadimento ai segretari capitolini.

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