Iran, i mullah confermano: niente stadio per le donne
Iran, la pallavolo della discordia colpisce ancora. E dopo il caso di Ghoncheh Ghavami – la ragazza anglo-iraniana condannata per essere andata allo stadio per assistere a una partita dei Mondiali di pallavolo di Teheran, non ottemperando al divieto in vigore per le donne di assistere alle competizioni sportive maschili – riporta in auge la questione della presenza delle donne sugli spalti nei prossimi incontri della World League maschile di pallavolo, a partire dall’incontro Iran-Usa del 19 giugno a Teheran.
Iran, vietato l’ingresso delle donne ai match maschili
L’ufficio per le pubbliche relazioni del ministero per la Giovenutù e lo sport ha dichiarato che «in nessun modo» le donne potranno entrare per le partite, pur lasciando aperta la possibilità di un’autorizzazione per le giornaliste. Il comandante nazionale della polizia di stato, il Generale Hossein Ashtari, ha rilasciato una dichiarazione piuttosto criptica alla Fars, dicendo che «noi agiamo in base alla legge. Forse qualcuno ci critica, ma compito della polizia è far rispettare la legge». All’ingresso delle donne alle partite maschili, limitato ai palasport e ad alcune discipline come pallavolo e basket, era stato dato il via libera dal Consiglio per la sicurezza nazionale, che aveva accolto un piano in tal senso presentato dalla vicepresidente per gli Affari delle donne Shahindokt Molaverdi e dallo stesso ministero per lo sport. Ora, però, il passo indietro, con l’Iran che torna a bandire le donne dagli spalti, sostenendo a sostegno del divieto la discutibile argomentazione secondo cui le donne vanno protette dal comportamento “lascivo” dei tifosi maschi.
Il precedente: il caso di Ghoncheh Ghavami
E si ritorna al clima respirato nei mesi scorsi con il caso di Ghoncheh Ghavami, studentessa di legge a Londra, condannata per essere andata allo stadio per protestare contro il divieto degli spalti alle donne, alla vigilia della partita Iran-Italia. Arrestata e rimasta in cella nella prigione iraniana di Evin, in completo isolamento per i primi 41 giornidi detenzione, senza poter vedere un avvocato e senza che le fossero formalizzate le accuse formali. Solo lunghi scioperi della fame e numerose inziative social indette in suo aiuto, insomma una campagna di mobilitazione internazionale, hanno portato il suo caso all’attenzione dei media di tutto il mondo, fino alla libertà su cauzione, ottenuta cinque mesi dopo l’arresto. Un arresto eseguito a seguito di una condanna attribuita alla ragazza per aver «fatto proaganda contro il regime». La sua unica colpa, invece, è stata quella di essere andata a una partita di pallavolo Iran-Italia, che si è disputata a Teheran il 20 giugno del 2014, contravvenendo a un divieto in vigore in Iran dal 1979, anno della fondazione della Repubblica Islamica, e data da cui si fa partire il divieto d’ingresso delle donne negli stadi, compresi quelli di volley. Questioni di contiguità tra fan maschili e femminili che contrasterebbero con l’interesse pubblico, hanno spiegato a più riprese dal Dipartimento di sicurezza del Ministero dello Sport.