Rimborsi regionali, chiesti 16 rinvii a giudizio nel Pd. C’è anche Richetti

4 Mag 2015 13:59 - di Viola Longo
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C’è anche il deputato Matteo Richetti tra i 16 esponenti del Pd per cui la procura di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di peculato nell’ambito dell’inchiesta sui rimborsi regionali in Emilia Romagna.

La posizione di Matteo Richetti

I fatti contestati si riferiscono al periodo tra giugno 2010 e dicembre 2011. Richetti, un renziano della prima ora, si era anche dovuto ritirare dalle primarie del Pd per la presidenza della Regione. Gli sono contestati rimborsi per 5mila euro e il suo avvocato, Gino Bottiglioni, ha assicurato che è stato «dimostrato che erano funzionali al suo compito». «Se c’è un politico che a livello locale ha sempre creduto e si è sempre impegnato per il risparmio dei soldi dei contribuenti, questo è Matteo Richetti», ha sostenuto ancora il legale, aggiungendo che «confidiamo che il primo giudice che incontreremo saprà accertare la correttezza del comportamento. Le accuse sono radicalmente infondate». Richetti chiese e ottenne di essere sentito già prima che l’inchiesta fosse terminata, così come il suo sfidante alle regionali Stefano Bonaccini. A differenza della sua, però, la posizione di quest’ultimo però fu stralciata e poi archiviata. «Io sono molto, molto tranquillo», è stato comunque il commento del deputato.

Le altre richieste di rinvio a giudizio

Tra gli altri esponenti del Pd che andranno davanti al giudice dell’udienza preliminare ci sono anche l’ex capogruppo Marco Monari, cui erano contestate spese per 940mila euro e che si dimise in corso di indagine; Rita Moriconi, tra i cui rimborsi emerse anche una fattura di un sexy shop (poi rivendicata da un suo collaboratore, che disse di aver fatto l’acquisto per un regalo di compleanno a un amico all’insaputa della consigliera); l’attuale eurodeputato Damiano Zoffoli e l’ex assessore regionale Luciano Vecchi. Richiesta invece l’archiviazione per il riconfermato in consiglio Antonio Mumolo e per Paola Marani: gli inquirenti hanno ritenuto convincenti le giustificazioni e le documentazioni fornite per dimostrare l’inerenza delle spese fatte con l’attività da consigliere, rispettivamente per 3mila e 6mila euro.

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