15 anni fa l’addio a Gino Bartali: salvò centinaia di vite con la divisa della Rsi

5 Mag 2015 15:07 - di Antonio Pannullo

«Quel naso triste da italiano allegro», canta Paolo Conte nella sua canzone-omaggio a Gino Bartali, ai tempi in cui «i francesi ci rispettano…». Gino Bartali, soprannominato Ginettaccio o Ginaccio, per il suo carattere schietto da fiorentino doc, era di Ponte a Ema, è una delle più grandi icone italiane di tutti i tempi. Per questo il suo ricordo e la sua celebrazione dovrebbero servire a unire gli italiani in una storia condivisa. Bartali è passato alla storia tante volte e per tanti motivi: innanzitutto per i suoi meriti sportivi, da ciclista grandissimo che a 34 anni suonati seppe vincere la gara più importante del mondo in questa disciplina, il Tour de France. Poi per meriti umani, come si è appreso dopo la sua morte, avvenuta il 5 maggio del Duemila. Ora si sa, ma Bartali negli anni della guerra contribuì a salvare ebrei e soldati alleati grazie alla sua immensa popolarità e alla sua grande pedalata. Lo ha rivelato il figlio insieme ad altri testimoni, confermando il fatto che Bartali fu campione sì dello sport, ma soprattutto della vita. Dopo la guerra, poi, dicono molti, contribuì con la sua citata vittoria al Tour, a rasserenare gli animi degli italiani che stavano precipitando in una nuova guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci, da parte dello studente fascista Antonio Pallante. Si favoleggia che addirittura gli stessi De Gasperi e Andreotti telefonassero personalmente in Francia a Bartali pregandolo di vincere e di salvare così la sua nazione. Cosa che Ginettaccio fece, scatenando l’entusiasmo popolare, facendo «incazzare» i francesi, come canta Paolo Conte, e di fatto calmando le frange estremiste della sinistra che avrebbero voluto prendere il potere con le armi.

L’eterno dualismo tra Bartali e Coppi

Memorabile poi la sua rivalità, vera o presunta, con il campionissimo Fausto Coppi, di qualche anno più giovane di lui, rivalità probabilmente più immaginata dal pubblico e sottolineata ed esaltata dai giornali, che reale. Leggendaria la foto in cui i due rivali si passano la bottiglia dell’acqua in corsa: mentre ancora oggi ci si interroga se fu Coppi a passarla a Bartali o viceversa, è venuto fuori che la foto fu preparata a tavolino. Anche così le immagini diventano leggenda. La rivalità tra i due supercampioni era anche di tipo antropologico, erano molto diversi. Bartali fu soprannominato il De Gasperi della bici e Coppi il Togliatti della strada. Interpretavano forse due Italie diverse. Ma quello che è certo è che la stella polare di Bartali fu sempre il trinomio Dio-Patria-Famiglia, come peraltro lo fu per quasi tutti gli italiani della sua classe, che era la 1914. Aderente ad associazioni cattoliche, pensò anche seriamente di prendere i voti dopo la tragica morte del fratello minore Giulio, scomparso in seguito a un incidente stradale durante una gara ciclistica. La sua opera meritoria cui accennavamo fu da lui compiuta d’accordo col vescovo Elia Dalla Costa che gli chiese espressamente di portare documenti da Terontola ad Assisi che avrebbero consentito l’espatrio di molti ebrei, cosa che Bartali fece coraggiosamente per parecchio tempo. Su questa circostanza sono stati scritti parecchi libri, tra i quasi cento dedicati al campione, oltre a canzoni, film e la miniserie del 2006 Gino Bartali l’intramontabile. «Fai il bene ma non lo dire», diceva spesso, da vero cristiano: le opere buone si fanno ma non si pubblicizzano. E quello che lui fece per salvare centinaia di rifugiati fu veramente grande e gli valse nel 2005 la Medaglia d’Oro alla memoria al Merito civile, conferitagli dall’allora presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi e nel 2013 lo stato di Giusto tra le Nazioni da parte di Israele.

Bartali motociclista portaordini della Gnr

Ma nonostante i cento libri e le migliaia di articoli e biografie su Bartali, nessuno ha mai chiarito bene cosa decise di fare Ginettaccio dopo l’8 settembre 1943. Sia chiaro, Bartali amava lo sport, non si interessava di politica, se era fascista lo era certamente in maniera tiepida, ma alla sua patria ci teneva e come. Per questo probabilmente entrò nella Guardia nazionale repubblicana motociclista, la Gnr, della Repubblica Sociale Italiana, venendo assegnato a Passignano sul Trasimeno come portaordini. Ma giacché lui era Bartali, il suo superiore gli dette il permesso di utilizzare la bicicletta anziché la moto. Successivamente chiese e ottenne il trasferimento, e iniziò appunto l’attività clandestina per salvare quante più vite possibili, e lo fece da par suo, in bicicletta. Faceva 300 chilometri al giorno fino al convento di Assisi e ritorno, e portava nel tubo cavo sotto il sellino documenti e materiale che avrebbero consentito alla rete clandestina vaticana di stampare passaporti e certificati falsi atti a far espatriare gli ebrei. Tutti sapevano che su quella strada passava Bartali, che a quei tempi era popolarissimo, e per giunta vestiva la divisa della Rsi, che lo metteva al riparo da qualsiasi problema. Ma non era “travestito” da milite della Gnr, come qualcuno ha scritto, ma aveva quella divisa perché era la sua. Comunque non fu mai scoperto, né mai lo raccontò. Così come non raccontò della sua coscrizione alla Rsi, nella quale peraltro militò volontariamente un altro grandissimo campione dell’epoca, Fiorenzo Magni, detto il leone delle Fiandre, grande amico di Ginettaccio anche dopo la guerra. Una curiosità: Bartali prese parte all’esilarante film Totò al Giro d’Italia, del 1948, insieme con Coppi, Magni, e addirittura il campione francese Luison Bobet, nella parte di loro stessi. Con loro anche Walter Chiari, altro aderente alla Rsi, nella parte del giornalista. Insomma, la storia e le storie di questa nazione vanno raccontate bene e per intero. «L’è tutto da rifare», direbbe oggi Ginettaccio

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