Coop rosse e clan: le strana storia di Lorenzo Diana, icona dell’antimafia

3 Apr 2015 14:39 - di Francesca De Ambra

Roberto Saviano ne parla così a pagina 223 di Gomorra: «Lorenzo Diana è uno di quei politici che ha deciso di mostrare la complessità del potere casalese e non di denunciare genericamente dei criminali. È nato a San Cipriano d’Aversa, ha vissuto osservando da vicino l’emergere del potere di Bardellino e di Sandokan, le faide, i massacri, gli affari. Può, più di ogni altro, raccontare quel potere, e i clan temono la sua conoscenza e la sua memoria». Fin qui Saviano. Tutt’altro spaccato lascia intravedere in queste ore Il Mattino di Napoli nel dare conto dell’inchiesta sui rapporti tra Coop rosse e camorra per la metanizzazione nel Casertano. Leggiamolo: «Vicende torbide, in cui Iovine (Antonio, detto o’ Ninno, ex-boss, oggi collaboratore di giustizia, ndr) cala anche l’ex senatore Lorenzo Diana, paladino della lotta anticamorra in Campania». Ed ecco cosa il giornale partenopeo virgoletta delle parole di Iovine: «Io personalmente e lo Zagaria (boss non pentito, mente imprenditoriale della camorra casalese, ndr) trovammo un’intesa con il Reccia (sindaco di San Cipriano ndr) e il senatore Diana».

Negli anni ’80 Lorenzo Diana è stato assessore con Bardellino

Si tratta, ovviamente, di dichiarazioni tutte da verificare e lo stesso Diana, dal 1994 sotto scorta ed oggi presidente del Centro Agro Alimentare di Napoli (CaaN) per volontà di Luigi de Magistris – a risarcimento della mancata elezione alle regionali nelle liste dell’Italia dei Valori – non è indagato. La questione, infatti, non è penale ma rappresentativa di un certo mondo dell’antimafia di professione, cui Diana appartiene. Pochi sanno, ad esempio, che negli anni ’80 l’ex-segretario della commissione Antimafia è stato assessore della sua città avendo come collega Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, il supercamorrista che in quegli stessi anni guidava con Carmine Alfieri e Lorenzo Nuvoletta il cartello della Nuova Famiglia in opposizione alla Nco di Raffaele Cutolo. In quella stessa giunta sedeva anche un altro Diana, Franco, alias Francuccio o’ boxer, anch’egli affiliato, ucciso in carcere da un suo collega di malavita.

Nel ’97 è stato testimone di nozze del figlio di un boss

Successivamene, Diana lo troviamo intento a difendere Giovangiuseppe Palumbo, sindaco Pds di Pignataro Maggiore, sempre in provincia di Caserta, imparentato tramite la moglie a Vincenzo Lubrano, condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio del fratello del giudice Imposimato. Il sindaco Palumbo, definito in un’informativa dei Carabinieri “testa di cuoio dei clan”, viene destituito d’autorità in seguito ad un’interrogazione parlamentare di An. E non è finita: il 14 giugno del ’97, Diana e consorte fanno da testimoni di nozze a tale Paolo Iorio, il cui papà, Gaetano, risulta condannato nell’ambito del processo Spartacus per associazione mafiosa. E qui s’innesta una vicenda singolare perché l’abitazione di Iorio risulta l’unica non acquisita al patrimonio pubblico a causa – scrive in un’interrogazione presentata nell’ottobre del 2007 l’allora senatore forzista Emiddio Novi – «dell’inesatta individuazione catastale del bene confiscato e dalla altrettanto anomala destinazione dello stesso “ad uso abitativo” operata da parte della Direzione centrale del Demanio di Roma».  Anche qui si tratta di atti politici o di scelte personali privi di rilevanza penale. Tuttavia poco idonei a giustificarne la fama di paladino della legalità culminata nel 2008 con l’attribuzione del premio Borsellino. Anzi, alla luce di questi episodi e a distanza di qualche anno, sono le parole di Saviano ad assumere il sapore di un’involontaria ironia: l’emergere del potere casalese, Diana, lo ha visto veramente «da vicino». Forse anche troppo.

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