Sprint del Pd sulla legge che inasprisce le pene… per i poliziotti
Lunedì prossimo approda nell’Aula della Camera il disegno di legge contro la tortura (ma è un titolo abbastanza fuorviante) da circa due anni all’esame del Parlamento. Piuttosto travagliato il suo iter: arrivato in commissione Giustizia del Senato il 22 luglio 2013, venne votato dall’Assemblea di Palazzo Madama il 5 marzo 2014. Trasmesso poi alla Camera, è rimasto in commissione dal 6 maggio 2014 sino a ieri, 19 marzo 2015. Il provvedimento, più volte rimaneggiato e spesso oggetto di divisioni anche all’interno della stessa maggioranza, introduce di fatto il reato di tortura nell’ordinamento italiano che resta però un reato comune, punito con la reclusione da 4 a 10 anni, mentre in molti altri paesi europei è considerato tale solo se commesso da un pubblico ufficiale. Nella versione licenziata dalla commissione Giustizia della Camera il fatto che venga commesso da un pubblico ufficiale è considerato solo come un’aggravante con pene che vanno dai 5 ai 12 anni. Ma si tratta di un testo modificato rispetto a quello uscito dal Senato un anno fa e quindi, se anche l’Aula di Montecitorio dovesse dare il via libera in tempi rapidi, dovrà poi tornare all’esame di Palazzo Madama. «Abbiamo seguito le raccomandazioni del Comitato Onu contro la tortura – spiega la presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti – e quanto emerso nel corso delle audizioni. Da un lato, marcando in maniera specifica gli elementi determinanti per il reato commesso dal pubblico ufficiale e, dall’altro, individuando con più puntualità gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta al fine di evitare improprie sovrapposizioni con altri delitti già puniti dal codice penale. In più, sottolinea, abbiamo anche raddoppiato i termini di prescrizione».
Meno facile denunciare i poliziotti
Rispetto alla versione licenziata dal Senato alla Camera, nel nuovo articolo del codice penale che viene introdotto (il 613-bis) sono stati introdotti “più paletti”, come si spiega nell’opposizione. Così rischia la condanna da 4 a 10 anni (il testo del Senato diceva dai 3 ai 10 anni) chiunque, con violenza o minaccia, “ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza intenzionalmente” cagiona “ad una persona a lui affidata o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia”, acute sofferenze fisiche o psichiche “al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni, o infliggere una punizione, o vincere una resistenza, o in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose” è punito con la reclusione da 4 a 10 anni (ndr. le frasi tra virgolette sono state introdotte alla Camera). Se tutti questi fatti vengono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, “con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio”, si applica la pena della reclusione da 5 a 12 anni. Quindi alla Camera si aggiunge ex novo che comunque “la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”. Il rischio? Che a qualsiasi reazione dei poliziotti, durante un arresto, per esempio, possano scattare denunce, con lunghi e complessi procedimenti di accertamento dei fatti che potrebbero favorire millantatori e criminali pronti a farsi scude di presunte “torture” tutte da verificare.
Il divieto di espellere stranieri perseguitati
Il ddl prevede anche il reato di “Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura”. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che nell’esercizio delle sue funzioni istighi un collega a torturare qualcuno, se l’istigazione non è accolta, o se è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Tra le novità contenute nel ddl c’è anche il divieto di espellere lo straniero in uno Stato in cui rischia la “persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali” o può essere oggetto di tortura “ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani”.