Comunione e liberazione allo sbando: “Quanto ci è costato il sì a Renzi”

20 Mar 2015 13:34 - di Silvano Moffa

È sottile, molto sottile, il filo che separa la sfiducia dalla non-fiducia. Concetti solo apparentemente analoghi. Comunione e liberazione allo sbando. In politica, specie quando sono in gioco delicati equilibri e tutto, anche la tenuta di un governo, si misura con il bilancino del farmacista, la distinzione, al di là dell’esile significato linguistico, diventa essenziale. Sul filo della sfiducia/non-sfiducia si è giocato, nelle ore che hanno preceduto l’annuncio delle dimissioni da ministro, il destino di Lupi. E con lui il destino del governo Renzi. Le due questioni sono legate, come si può intuire. Come legata alla vicenda del ministro Lupi, che non è indagato (a differenza di altri esponenti del governo che invece, come ha ricordato Rampelli nel suo intervento alla Camera, continuano a restare al loro posto) è la sorte del Nuovo centrodestra di Alfano. Una sorte che appare segnata da oggettiva debolezza e da palese subalternità nei confronti del premier.

Lupi e il “tramonto” di Comunione e liberazione

Secondo alcuni, la “caduta” di Lupi, dopo le vicende di natura diverse che hanno riguardato Formigoni e Mauro, segna il tramonto di Comunione e liberazione, il movimento religioso fondato da Don Giussani, da cui sono scaturite articolazioni, strutture, forme cooperative e sistemi gestionali nel campo sanitario e nel mondo degli affari, sostitutive di quel mutualismo cattolico che aveva fornito linfa e ossatura alla vecchia Democrazia Cristiana. Difficile dire se siamo davvero al tramonto di quel sistema. Michele Brambilla, su La Stampa, ha scritto che “sarebbe ingiusto dire che tutto sia sia risolto in un’occupazione del potere, perché l’impegno di Cl in politica ha prodotto anche molte cose buone, alcune straordinariamente buone. Ma che ci sia stata una degenerazione, a volte un compiacimento nella gestione del potere, un giustificare tutto in nome della fede, un liquidare le obiezioni con lo slogan ‘non facciamo i moralisti’, beh, questo è innegabile”.

Lupi e la “non-fiducia” di Matteo Renzi

Al di là del “tramonto” di Comunione e liberazione, la vera questione politica che si è aperta con la vicenda Lupi a noi pare essere quella del centrismo, ovvero di quel centrismo che ha imboccato la strada di Renzi, dopo la diaspora del Centrodestra e la frattura con Berlusconi. È evidente che la decisione di Lupi di dimettersi, al di là delle frasi più o meno di circostanza che sono state pronunciate dagli alleati e del buon senso, della dignità del gesto con cui il ministro ha inteso arginare le polemiche, lascia uno strascico velenoso. Produce effetti che si misureranno nel tempo. La frase pronunciata da Lupi ,”Il governo esce rafforzato”, dà il senso di una nuova fase che si apre. Di rassicurante, c’è ben poco. Renzi, nel silenzio tombale di questi giorni, infranto soltanto da alcune dichiarazioni dei suoi sodali che ne facevano filtrare l’umore nero, ha lasciato ad Alfano il compito più difficile: quello di convincere Lupi alle dimissioni. E qui ritorna la sottile distinzione tra sfiducia e non-fiducia. Renzi ha optato per quest’ultima. Nella sottigliezza della distinzione che diventa sostanza politica, si indebolisce sempre di più il ruolo del partito di Alfano. E questa volta, i numeri contano poco.

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