Hong Kong, non si ferma la repressione cinese contro gli studenti
È passato quasi un mese da quando Hong Kong ha messo fine alla Rivoluzione degli Ombrelli. La città, dopo 75 giorni di occupazione e sit-in studenteschi pro-democrazia, è tornata piano piano alla normalità, anche se non sono mancate proteste improvviste. Ma il governo cinese non ha dimenticato le agitazioni che per due mesi hanno scosso la città.
Nuovi arresti
Quando la polizia intervenne a dicembre rimuovendo dal centro della città l’ultimo bastione della rivolta finirono in manette circa duecento irriducibili, ma ora la situazione si fa pesante e critica. Come riporta La Stampa la polizia, che durante le proteste aveva raccolto tutti i nominativi di chi era in piazza, adesso telefona a casa di tutte le persone segnalate invitandole a presentarsi al commissariato per essere arrestate. Ad essere convocati sono personaggi di primo piano del Movimento come i tre i leader studenteschi Joshua Wong, Lester Shum, Alex Chow ma anche altri personaggi come il magnate dei media Jimmy Lai (l’unico miliardario che ha appoggiato le proteste) e i parlamentari Alan Leong e Lee Cheuk-yan, il reverendo Chu Yiu-ming e il giurista Benny Tai.
L’inizio delle proteste
L’ondata di manifestazioni a Hong Kong ha avuto inizio alla fine di settembre, in risposta alla proposta fatte da Pechino per riformare l’elezione del governo locale e delle istituzioni dell’ex colonia britannica per il 2017: a quella data infatti i cittadini di Hong Kong saranno chiamati a scegliere il loro capo dell’esecutivo con il suffragio universale, secondo quanto promesso a Hong Kong dalla legge fondamentale del territorio, una sorta di mini-costituzione. Pechino ha acconsentito di conferire un voto a ogni adulto, ma non ha ammesso candidature libere, scatenando la rabbia di studenti e attivisti per la democrazia, riuniti in movimenti come Occupy Central. Una protesta che non ha smosso la Cina dalla sua decisione di riservarsi la nomina dei candidati Chief Minister.