Guai a chi tocca la Kyenge: condannato il burlone. E la satira?
Chi tocca certi fili, rimane fulminato. Non è vero che le società libere dell’Occidente accettano sempre e comunque la satira, con buona pace pace del corale grido «Io sono Charlie». Il tribunale di Roma ha condannato a un anno e tre mesi Fabio Rainieri, ex parlamentare della Lega Nord e attuale vicepresidente dell’assemblea legislativa emiliano-romagnola, per la pubblicazione sul proprio profilo Facebook di una foto dell’allora ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge, con il volto ritoccato in modo da apparire una scimmia. Era imputato di diffamazione con l’aggravante della discriminazione razziale. I giudici l’hanno anche condannato ad un risarcimento di 150 mila euro. Un risarcimento pesante.
«Non critica politica, ma propaganda»
«Ha vinto la giustizia», questo il commento della Kyenge. Per l’ex ministro «non si trattò di una critica politica, ma di vera e propria propaganda volta a seminare odio e violenza. Perché la critica implica dialettica e argomentazione. Dileggiare una persona esclusivamente per il colore della pelle non implica argomentazione, né retropensiero. È come dire: tutti voi, neri, non siete solo razza inferiore ma siete animali». L’ex ministro prosegue dicendo che «istigare le persone a considerare i neri come animali non è satira, né critica, ma solamente un reato ed è proprio per questo che trovo altrettanto grave la decisione della Lega Nord di non discostarsi dalle posizioni sostenute da Rainieri». Sì, ma perché sulla religione si può scherzare, fino al dileggio, e sul colore della pelle no?