Greta e Vanessa: quelle “relazioni pericolose” con i jihadisti

19 Gen 2015 11:03 - di Priscilla Del Ninno

Greta e Vanessa: il sospetto corre sul web. Adombrato da Il fatto quotidiano nei giorni scorsi, rilanciato da Il Giornale in un editoriale di domenica, e riassunto on line in queste ore anche da Blitz quotidiano. Dubbi che inducono a risalire alla genesi di quella pericolosa partenza per la Siria decisa da Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e che, incrociando informazioni e supposizioni, arrivano a far delineare un quadro inquietante dei rapporti (con i jihadisti) e degli obiettivi (di sostegno bellico) di quella missione emersi già subito dopo il sequestro. Passata la sbornia di paura, dunque, il ritorno a casa delle due cooperanti ventenni aumenta le perplessità e alimenta gli interrogativi su quella trasferta al frontecostata alle due volontarie oltre cinque mesi di prigionia e – si pensa, nonostante l’accorata smentita del ministro Gentiloni e il tempestivo Tweet postato dalla Farnesina subito dopo il rilascio, inneggiante a un fruttuoso «lavoro di squadra» – svariati milioni di euro sottratti alle casse dello Stato italiano.

Quelle “relazioni pericolose” con i jihadisti

Un mistero, quello della missione siriana di Greta e Vanessa, culminata nel rapimento e nella ancor meno chiara liberazione, che dipana la sua intricata matassa già dalle prime mosse dell’organizzazione di quel viaggio di solidarietà, indirizzata, si ipotizza ora, più che alle vittime civili della guerra anti Assad, all’esercito dei combattenti islamisti del fronte ribelle, e che intreccia i fili dela diffidenza al nodo tutto da sciogliere del rapimento risoltosi con il sospetto lecito del pagamento di un riscatto plurimilionario. Un bottino che, purtroppo, è facile immaginare possa venire utilizzato da fanatici siriani, come da seguaci europei arruolati di fresco tra le loro fila, per compiere attentati in Italia o altrove nel Vecchio Continente. Una vicenda pericolosamente stratificata, insomma, quella di Greta e Vanessa, che presenta varie zone d’ombra, su cui stanno cercando di far luce i magistrati romani che hanno aperto un’inchiesta per sequestro di persona a scopo di terrorismo: inquirenti che hanno immediatamente ascoltato le due ragazze in una caserma del Ros della capitale appena rimpatriate il 15 gennaio scorso. E allora, provando un po’ a riunire i pezzi del complicato puzzle investigativo, secondo quanto si è appreso in questi giorni da ciò che trapela dalle informative riservate dei Ros, le due cooperanti lombarde sarebbero state «tradite» dagli stessi rivoluzionari che – questo è il fulcro dei sospetti – si pensa volessero sostenere: al vaglio, allora, le intercettazioni con siriani, residenti nel bolognese, considerati vicini a gruppi jihadisti.

I sospetti e le prove

Di più: nella sua interessante disamina del caso proposta sul Giornale, Gian Micalessin fa riferimenti precisi alle «intercettazioni delle telefonate, pubblicate nei giorni scorsi da Il Fatto Quotidiano , tra le due suffragette lombarde e alcuni fiancheggiatori dei gruppi jihadisti siriani»; «telefonate da cui emerge con chiarezza – prosegue l’articolo – come le due ragazzine non ambissero al ruolo di crocerossine neutrali, ma piuttosto a quello di militanti schierate e convinte». E sempre in quelle «telefonate» ora al vaglio degli inquirenti – prosegue la ricostruzione de il Giornale – «scambiate prima di partire con Mohammed Yaser Tayeb, un 47enne siriano trasferitosi ad Anzola in provincia di Bologna, ed identificato nelle intercettazioni del Ros come un militante islamista, Greta Ramelli spiega esplicitamente di voler «offrire supporto al Free Syrian Army», la sigla (Esercito Libero Siriano) che riunisce le formazioni jihadiste non legate al gruppo alqaidista di Jabat Al Nusra o allo Stato Islamico». Una delle prove tangibili di questo deisderio di supporto organizzativo starebbe, a detta del Giornale, proprio nella diffusione di «kit di pronto soccorso distribuiti da Greta e Vanessa in Siria. I kit, contenuti in tascapane mimetici indossabili a tracolla, assomigliavano più a quelli in dotazione a militanti armati o guerriglieri che non a quelli utilizzati da infermieri o personale paramedico civile». Kit, prosegue peraltro l’articolo, sul cui utilizzo Greta e Vanessa, che fin lì hanno riferito «con precisione dove hanno spedito o portato latte, alimenti per bambini, medicine e ogni altro genere di conforto non “sospetto”», glissano annotando «solo l’iniziale “B”, facendo intendere di parlare di un avamposto militare dei gruppi armati il cui nome completo non è divulgabile per ragioni di sicurezza». E di sicurezze, su questo caso, ce ne sono sempre meno…

 

 

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