La Spagna di Rajoy fuori dalla crisi, ma ha anche tagliato le tredicesime

13 Dic 2014 12:53 - di Fortunata Cerri

La Spagna colpita duramente dalla crisi economica, dopo anni di tribolazioni e tagli è riuscita a fare il salto in avanti. In molti parlano di “miracolo spagnolo“, il Fondo monetario internazionale qualche mese fa ha confermato che «la Spagna ha voltato pagina». Di sicuro la ripresa economica c’è stata, tanto da far esultare Mariano Rajoy: «Per molti aspetti la crisi è storia del passato, e che questo Natale sarà il primo di recupero». Numeri alla mano il premier prevede che «la crescita dell’economia spagnola potrà anche superare il 2% stimato dal governo per il 2015». Il leader del Partido Popular ha ricordato che l’economia spagnola è cresciuta nell’ultimo trimestre più di tutti nell’eurozona, con un aumento del Pil dello 0,5% rispetto allo 0,2% della media della Ue, e «il prossimo anno sarà quella che crescerà di più e creerà maggiore impiego». «Credo che, se alcuni eventi che si stanno producendo e che riguardano il tasso di cambi e il prezzo delle materie prime si confermano – ha ribadito Rajoy – la Spagna possa crescere oltre il 2% nel 2015».

Dalla crisi alla crescita

Un cambio di marcia che fino a tre anni fa sembrava impossibile realizzare quando Madrid era a un passo dal default. Archiviata l’era Zapatero, Rajoy si è trovato a gestire una crisi senza precedenti e a dover attuare un piano di sacrifici. Tagli a scuole e ospedali. Riduzione dei trasferimenti alle Regioni autonome. Taglio del 20% delle sovvenzioni verso «i partiti politici, sindacati e organizzazioni imprenditoriali».  Innalzamento dell’Iva di 3 punti percentuali (dal 18 al 21%).  Cancellazione della tredicesima a parlamentari, funzionari e impiegati pubblici. Taglio anche sui giorni di ferie disponibili per gli statali. Archiviata questa prima fase Rajoy è passato alle riforme vere e proprie che hanno attratto gli investitori. Rajoy ha presentato un pacchetto focalizzato sulla riduzione degli indennizzi per i licenziamenti (da 45 giorni di rimborso per ogni anno lavorato per 42 mesi, si è passati a 33 giorni per 24 mesi), sulla facoltà delle aziende di tagliare personale con meno vincoli dopo tre trimestri consecutivi di calo del giro d’affari, su una maggiore flessibilità su orari e stipendi.  Misure che hanno scatenato per mesi la protesta dei lavoratori. Ma il premier è andato dritto per la sua strada. La disoccupazione ha cominciato scendere. L’Istituto nazionale di statistica lo scorso mese di ottobre ha detto che tra luglio e settembre il tasso di disoccupazione è sceso di circa un punto, passando dal 24,5 al 23,7%.  Un anno fa era era al 25,7. I disoccupati sono scesi dai sei milioni e 200mila del 2012 agli attuali  5 milioni e 400mila. E nel secondo trimestre del 2014 sono stati ben 400mila i nuovi assunti. Il governo sostiene che che entro la fine della legislatura nel 2015 saranno creati 622mila posti di lavoro. Non è poco se si considera che l’ultima crescita dell’occupazione risale al lontano 2005.

La Spagna come modello per l’Italia?

La Spagna quindi con le sue riforme organiche e la sua stabilità politica che va avanti dal 2012 diventa un modello a cui l’Italia potrebbe guardare. Peccato che il governo Renzi sta portando avanti solo alcune misure spot, come il superamento dell’articolo 18, che servono ad alimentare le tensioni sociali. Le misure annunciate da Renzi si sono a poco a poco sgonfiate e non avranno sicuramente l’effetto di risollevare il mercato del lavoro italiano.

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