Paolo Signorelli, professore e attivista, in carcere innocente per anni

1 Dic 2014 17:00 - di Antonio Pannullo

Quattro anni fa ci lasciava Paolo Signorelli, negli anni Settanta (e anche prima) indimenticato protagonista di tutta una comunità anti-sistema che non accettava i diktat politici e ideologici del regime consociativo che allora sgovernava l’Italia. Negli anni Ottanta, purtroppo, Paolo Signorelli divenne protagonista in un altro senso: fu incolpato di tutta una serie di cose, dalla strage di Bologna e omicidi di giudici in giù, delle quali ovviamente era del tutto innocente. Il sistema antifascista si difendeva da quello che era una delle persone più rappresentative, per cultura, comunicatività, militanza, della destra italiana. Su di lui sono stati scritti diversi libri che ne denunciano la sua allucinante odissea giudiziaria, i teoremi mostruosi, la persecuzione decennale. Alla fine fu assolto da tutto, tranne che dal reato di associazione sovversiva (che quanto fosse sovversiva poi lo dirà la storia, quella vera), ma pagò, lui insieme con la sua famiglia, costi esistenziali altissimi.

Per un “fascista” non c’era garantismo…

I garantisti di sinistra naturalmente non si fecero vivi, non difesero il professore “fascista”. Se ne accorsero solo dopo che vi fu l’intervento di Amnesty International e dopo che i Radicali si occuparono di lui. Lui era professore al liceo classico De Santis di Roma, gli studenti lo adorvanano e ne seguivano con interesse le lezioni di storia e filosofia. Tutto il liceo partecipò alle iniziative per la liberazione di Signorelli quando era recluso ingiustamente. Al suo funerale, in piazza dei Giochi Delfici a Roma nel 2010, c’erano migliaia di persona, venute da ogni parte d’Italia, per salutare l’ultima volta Paolo. Durante la guerra era ragazzino, ma se fosse nato solo un lustro prima certamente sarebbe partito volontario. E avrebbe scelto altrettanto certamente da che parte stare. Entrò giovanissimo in politica, partecipò alle esperienze di Ordine Nuovo, del Fronte sociale nazionale, e naturalmente del Msi, nelle cui file fu eletto consigliere comunale capitolino all’inizio degli anni Settanta. Era talmente stimato e apprezzato, più come attivista che come “ideologo” (come lo definivano i giornali di regime) che quando ci candidò per il Campidoglio, praticamente tutte le sezioni missine di Roma si misero a disposizione per la campagna elettorale: da quelle più vicine a lui, ideologicamente e geograficamente come Balduina e Prati, fino alla periferica Quadraro a Roma Sud, dove Signorelli fece uno storico comizio in piazza. Sì, perché Signorelli andava a tenere conferenze e comizi in tutta Roma, infaticabilmente, passando dalla veste di teorico a quella dell’attivista. Per questo tutto il mondo missino lo amava.

Una serie di accuse clamorosamente pretestuose

Se non fosse stata una tragedia umana, certe accuse farebbero oggi sorridere: un suo souvenir comprato a Toledo, un soprammobile a forma di ascia, fu (volontariamente?) considerato arma e per questo il professore fu arrestato, salvo poi essere assolto con formula piena. Innumerevoli le volte in cui fu aggredito solo per la sua fede politica: una volta, era il 1972, il figlio Luca fu picchiato davanti al liceo Giulio Cesare, così Paolo lo andò a prendere con la sua Fiat 500. Giunti all’altezza di piazza Istria, la macchina fu circondata da una trentina di ultracomunisti che li aggredirono con bastoni e catene. Paolo riportò la frattura di costole e dita. Così andavano le cose. Il 10 gennaio del 1979 il quotidiano comunista Lotta Continua scrisse che Signorelli era “il capo dei Nar”, (circostanza assurda e smentita da più parti). Ebbene, nella notte tra il 10 e l’11 la polizia irruppe in casa sua e lo arrestò. Ovviamente con i Nar non aveva nulla a che fare. Dopo la strage di Bologna occorreva un capro espiatorio, e naturalmente fascista: a fine agosto il professore fu arrestato nuovamente e trascorse lunghi anni in carcere nelle peggiori condizioni. E tutte le volte i giornali, prontamente avvisati da qualcuno, scrissero le panzane più grosse, orchestrando una campagna di menzogne che però fece gravi danni. Fu addirittura scritto che a casa di Signorelli furono trovate armi, pistole, mitragliatrici, mentre non fu mai trovato nulla, tranne il famoso souvenir.

Quel giorno a via Ottaviano c’era anche Paolo

Signorelli si trovava in via Ottaviano il giorno che assassinarono Mikis Mantakas. Quando il giovane greco fu colpito a morte, fu proprio Signorelli insieme ad altri suoi camerati che portarono il corpo del ragazzo dentro un box. E in quell’occasione Signorelli probabilmente salvò la vita ad altri ragazzi, perché mentre i comunisti di Potere operaio armati stavano entrando nel portone della sezione del Msi per uccidere ancora, lui simulò di avere una pistola, e il gruppo di fuoco arretrò. Scrisse dal carcere una serie di poesie e molte lettere alla moglie Claudia. Una finisce così: «Noi non abbiamo scelto ciò che è facile. Noi abbiamo scelto la via della lotta contro ogni fuga. Stringi a te, per mio conto, Luca e Silvia. Il sole annienterà le tenebre».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *